Dolce, succosa e versatile, l’uva da tavola è un frutto che trova sempre più spazio sulle nostre tavole, grazie anche alla disponibilità di varietà con o senza semi, capaci di soddisfare ogni preferenza. Ma dietro la sua buccia brillante e il suo gusto inconfondibile si nasconde una questione cruciale: la sicurezza alimentare. Quanto sappiamo davvero dei residui di fitofarmaci che potrebbero essere presenti su ogni acino? Con un mercato sempre più globalizzato e la necessità di soddisfare una domanda costante durante tutto l’anno, l’uva che arriva nei supermercati spesso percorre migliaia di chilometri, passando per coltivazioni in Paesi che presentano differenze spesso significative nelle pratiche agricole e nelle normative. E proprio qui emerge la vera sfida: garantire che un frutto così amato rimanga non solo gustoso, ma anche sicuro e rispettoso della salute dei consumatori.
Sicurezza alimentare: un’indagine che fa luce sui residui di fitofarmaci
Per rispondere alla domanda sulla qualità e sicurezza dell’uva da tavola, un’importante indagine è stata condotta in Germania dal CVUA (Ufficio esami chimici e veterinari) di Stoccarda. L’obiettivo dello studio era verificare la presenza di residui di oltre 750 fitofarmaci e contaminanti su un totale di 64 campioni di uva da tavola – di cui 61 da coltivazione convenzionale e tre da produzione biologica – provenienti da diverse parti del mondo. I risultati sono stati molto interessanti: i campioni provenienti da Paesi extra-UE hanno mostrato un contenuto medio di agrofarmaci più alto rispetto a quelli europei (1,9 mg/kg contro 0,57 mg/kg). Questo dato mette in evidenza una differenza sostanziale tra le normative e le pratiche agricole adottate nei Paesi dell’Unione Europea e quelle applicate nei Paesi terzi, dove il controllo dei residui di fitofarmaci e la loro applicazione sono meno rigorosi.
In particolare, il 15% dei campioni di uve convenzionali provenienti da Paesi non UE ha superato i limiti massimi di legge per i residui di fitofarmaci, con alcuni casi particolarmente preoccupanti nei campioni provenienti dalla Turchia. In questi casi, la dose acuta di riferimento (ARfD) per alcune sostanze è stata superata di oltre il 200%, rendendo questi campioni dannosi per la salute. Al contrario, l’analisi dei campioni di uva biologica, provenienti principalmente dall’Italia e dal Sudafrica, non ha evidenziato la presenza di residui, a conferma dei benefici delle pratiche agricole sostenibili.
Fitofarmaci più rilevati e superamento dei limiti
La produzione di uva da tavola richiede spesso l’uso di fungicidi e insetticidi, poiché le viti sono particolarmente sensibili ad attacchi di funghi come oidio e peronospora, e a parassiti come la tignola e le cicaline. Nell’ambito dell’indagine condotta dal CVUA di Stoccarda, sono emersi vari principi attivi rilevati nei campioni di uva da tavola. In particolare, tra i fitofarmaci identificati più frequentemente domina proprio un fungicida, l’acido fosfonico, riscontrato nell’82% dei campioni analizzati, con livelli che raggiungevano i 36,4 mg/kg (equivalenti a 49,0 mg/kg di Fosetyl, totale).
Tra i campioni analizzati, inoltre, otto provenienti da Paesi terzi contenevano residui di fitofarmaci non autorizzati o in quantità superiori ai limiti consentiti. Ne è un esempio il campione proveniente dalla Namibia, che ha mostrato la presenza di Glufosinato, un erbicida ampiamente utilizzato ma bandito nell’UE dal 2018. La rilevazione di questo fitofarmaco in alcuni campioni solleva preoccupazioni, in quanto costituisce una violazione delle normative europee sulla sicurezza alimentare. Inoltre, alcuni campioni provenienti da Paesi terzi hanno evidenziato livelli di Acetamiprid superiori ai limiti consentiti dall’UE. Questo insetticida, approvato in Europa, è stato rilevato in quantità eccessive in sette campioni provenienti dalla Turchia. In questi casi, è stato superato anche il limite della dose acuta di riferimento (ARfD), con un esaurimento superiore al 200%, rendendo questi campioni non sicuri per la salute dei consumatori.
Il caso dell’Italia, tra sicurezza e normative
L’Italia, uno dei principali produttori di uva da tavola in Europa, è nota per le sue rigorose normative sulla sicurezza alimentare, che rispettano gli standard europei. Tuttavia, anche la produzione italiana può presentare delle criticità: un campione di uva esaminato nell’indagine tedesca ha mostrato residui superiori al limite massimo legale del fungicida Procimidone, un principio attivo vietato nell’UE dal 2008. Questo caso isolato sottolinea non solo l’importanza di rafforzare i controlli a livello nazionale ed europeo, ma anche la necessità di promuovere e adottare pratiche agricole più sostenibili. Le tecniche agricole che combinano la difesa delle piante con una riduzione dell’uso di fitofarmaci rappresentano una strategia vincente. Monitoraggi accurati, pratiche preventive e l’impiego di agenti di biocontrollo sono approcci efficaci per garantire la sicurezza alimentare, proteggere l’ambiente e tutelare la salute dei consumatori.
Conclusioni: una scelta per la salute e l’ambiente
Lo studio evidenzia una chiara differenza tra l’uva convenzionale, soprattutto quella proveniente da Paesi terzi, e quella biologica in termini di residui di fitofarmaci. I campioni provenienti da Paesi come la Turchia mostrano un superamento dei limiti legali e una violazione della dose acuta di riferimento, risultando dannosi per la salute. Inoltre, l’uva convenzionale tende a contenere più fitofarmaci e a presentare una maggiore esposizione multipla per i consumatori. Al contrario, l’uva biologica si conferma una scelta salutare, poiché priva di residui di fitofarmaci e più rispettosa dell’ambiente. Scegliere uva biologica non solo riduce i rischi legati alla salute, ma contribuisce anche a una produzione agricola sostenibile e a un ambiente più sano. I consumatori, quindi, possono fare una differenza significativa nella protezione della loro salute e nella promozione di un’agricoltura più ecologica.
Donato Liberto
©uvadatavola.com