Il produttore Giovanni Raniolo, presidente del Consorzio di Tutela dell’ Uva da Tavola di Mazzarrone IGP, racconta i suoi 20 anni nell’ambito della produzione in bio di uva da tavola.
Giovanni Raniolo è presidente del Consorzio di Tutela dell’Uva da Tavola di Mazzarrone IGP e socio di SI.FA.BIO. Srl, una Società Agricola specializzata nella produzione in biologico di uva da tavola con e senza semi per complessivi 80 ettari, che produce e commercializza anche ortaggi, prugne e limoni.
“La nostra raccolta comincia a fine maggio con le cultivar Black Magic e Vittoria – esordisce Raniolo -, successivamen te raccogliamo Superior, Arra 13 ed altre apirene. Abbiamo delle coperture plastiche grazie alle quali proteggiamo la vegetazione da acqua, umidità e grandine. I tagli in Sicilia si concludono nel mese di ottobre con le varietà tardive come Italia, Red Globe, Crimson ed altre senza semi”.
Da quanto tempo praticate il biologico nei vostri vigneti?
L’azienda è condotta in bio da quasi 20 anni. Ultimamente abbiamo anche dato vita ad un’altra azienda agricola di uva da tavola con conduzione in biodinamico. Abbiamo diverse certificazioni (Bio, Bio Suisse, IFS, Global Gap e Grasp) e siamo dotati di un magazzino di lavorazione, nel quale realizziamo per lo più vaschette da 300 g, da 500 g e da 1 kg, a seconda delle esigenze del cliente.
Quali sono i vostri mercati di riferimento?
Il mercato di riferimento è sicuramente l’Europa. Il nostro cliente principale è la Grande Distribuzione svizzera, ma riforniamo anche la Germania e la Francia. Ovviamente distribuiamo anche in Italia.
Come è nata l’idea di condurre vigneti in biologico? Deve essere stata una bella sfida, specialmente 20 anni fa.
Sicuramente è stata una sfida. Grazie alle coperture in plastica di cui eravamo dotati già a quei tempi, ci è sembrato possibile poter affrontare la conduzione in biologico. Abbiamo iniziato con i primi 10 ettari e, pian piano, ci siamo accorti che i vigneti non solo rispondevano bene, ma avevano anche un equilibrio migliore rispetto a quelli condotti in regime integrato. I terreni su cui sorgono gli impianti bio risultano molto più fertili. Perciò vorremmo convertire interamente tutti i complessivi 270 ettari dell’azienda. Al momento gestiamo per l’80% in bio anche le produzioni che attualmente sono in integrato.
Quanto tempo fa è nata Aurora, la vostra azienda biodinamica?
È un’azienda di 20 ettari che quest’anno ha ottenuto la certificazione biodinamica. Per raggiungere questo obiettivo sono stati necessari 4 anni di conversione da biologico a biodinamico.
Ci sono delle difficoltà agronomiche particolarmente ostiche per la conduzione dei vigneti in biologico?
L’oidio lo combattiamo tranquillamente. Riscontriamo maggiori difficoltà nella lotta alla cocciniglia, contro la quale utilizziamo insetti utili. A causa dei cambiamenti climatici anche la peronospora si è rivelata un problema. Utilizziamo anche il metodo della confusione sessuale per tignoletta e cocciniglia. Sicuramente la copertura con teli ci aiuta a proteggere maggiormente la produzione da eventuali piogge e umidità, d’altro canto però, induce temperature talvolta troppo elevate durante i mesi più caldi. Per ovviare a questa problematica, che potrebbe riportare danni sulla vegetazione, effettuiamo dei fori sulle coperture in plastica per favorire la circolazione dell’aria.
Quali sono i lati positivi che avete riscontrato in 20 anni di conduzione biologica?
Sicuramente una vita media del vigneto più lunga. Se dovessi riassumere in una sola parola direi: “equilibrio”. Peraltro la qualità del frutto è quasi del tutto simile a quella ottenuta con le produzioni in convenzionale, per di più senza l’integrazione di azoto, fosforo e potassio.
Quali altre tecniche agronomiche mettete in atto?
Pratichiamo principalmente il sovescio. Seminiamo un mix di essenze che poi andiamo a trinciare.
Quali sono i lati positivi di questo tipo di conduzione osservando la qualità del prodotto?
Il vantaggio maggiore di questo tipo di conduzione è che porta ad avere un prodotto naturale, il palato riconosce il “gusto di una volta”. Certo, gli acini non hanno un calibro particolarmente interessante, ma questo accade proprio perché non mettiamo in atto alcuna forzatura chimica.
Quelle che ha elencato sono caratteristiche che vengono riconosciute positivamente anche dal mercato?
Ciò che viene riconosciuto è il bio. Il nostro intento, come Società, è far sì che l’intero territorio tragga giovamento dal prodotto uva. L’uva da tavola di Mazzarrone si fregia del marchio “IGP” (Indicazione Geografica Protetta): questo vuol dire che la Comunità Europea ha riconosciuto al nostro prodotto una qualità intrinseca perché prodotta in questo specifico areale. Come produttori cerchiamo di far riconoscere al consumatore il valore aggiunto del nostro prodotto, ovvero l’intero territorio nel quale l’uva viene coltivata e la storia di tutti i produttori locali.
Considerando invece i costi, condurre un vigneto in biologico comporta un investimento maggiore rispetto alla normale conduzione convenzionale?
Sicuramente il rischio è maggiore. Quando si verificano annate molto umide o con presenza di particolari malattie, non è consentito intervenire con prodotti specifici. Pertanto a volte abbiamo anche perso parte della produzione. Questo è uno dei principali aspetti negativi della conduzione in biologico. Per ridurre il più possibile problemi di questo tipo è opportuno lavorare investendo principalmente in prevenzione. In ogni caso, nonostante il rischio appena accennato, di anno in anno cresce il numero dei produttori che decide di produrre in bio. Anche la GDO risulta più sensibile a riguardo. Questo principalmente perché il rispetto dell’ambiente e la “salubrità” del prodotto sono caratteristiche sempre più richieste dai consumatori.
Torniamo indietro di 20 anni: rifarebbe la stessa scelta?
Assolutamente sì. Offriamo ai nostri clienti un prodotto molto più sano e naturale e lasciamo alle future generazioni un terreno migliore e ricco di humus. La conduzione in biologico permette all’apparato radicale della vite maggiore fertilità ed equilibrio. Cosa che non riusciamo ad ottenere con una gestione in convenzionale.
Di qui a 10 anni come vede la sua azienda?
Personalmente mi occupo di uva da tavola da circa 40 anni, si tratta di una passione, oltre che di un lavoro. Passione che la mia famiglia si tramanda da generazioni, proiettandosi sempre verso il futuro. Io mi auguro di poter convertire l’intera produzione di uva da tavola con nuove cultivar senza semi e con caratteristiche particolari. Mi ripeterò, ma spero che in futuro venga riconosciuta dal consumatore la provenienza del mio prodotto.
Autore: Teresa Manuzzi