Senza semi e dal sapore moscato, questi alcuni dei tratti distintivi dell’uva del futuro.
Un’uva che, come è emerso dai lavori del Table Grape Meeting che si è svolto venerdì scorso al Macfrut, deve presentare una qualità costante e “saper viaggiare”.
Uva formato export dunque, ma per i produttori italiani anche un’offerta che possa essere competitiva con le sfide del mercato. Come ha ricordato Carlo Lingua, Amministratore Delegato di Avi, infatti, ci sono Paesi emergenti che si sono affacciati nella produzione di uva da tavola: Serbia, Macedonia, Bulgaria, Marocco e Turchia solo per fare alcuni esempi vicini all’Italia. Paesi dove si “sperimenta” a colpi di centinaia di ettari di nuovi impianti, con aziende pronte a investire e costi di produzione nettamente inferiori a quelli italiani.
“Se la Grande distribuzione non è legata all’origine del prodotto – ammonito l’amministratore delegato di Rk Growers e di Avi, agente unico europeo per le uve Arra™ – ma guarda unicamente alle varietà e al grado Brix, queste nuove realtà faranno una dura concorrenza. Anche perché non avendo mai prodotto uva da tavola, questi produttori sono molto più facilitati ad ascoltare e applicare le nuove tecniche per le apirene. Per avere un prodotto di qualità, è necessario che i produttori rispettino i protocolli di produzione proposti dai breeder, cosa che in Italia a volte non succede. Qualità e quantità non vanno sempre d’accordo. Per il futuro pensiamo che le varietà The Muscateers, quelle dal sapore moscato, possano essere molto interessanti. E poi servono progetti sostenibili ed etici”.
Alla prima sessione è seguita la tavola rotonda, che ha visto speaker internazionali confrontarsi con tre tematiche, innovazione varietale, uve senza semi ed export.
Debbie Lombaard, del team commerciale di Richard Hochfeld Ltd, ha portato il punto di vista del mercato del Regno Unito
“Il mercato inglese è quasi interamente senza semi, e predilige frutti dolci e croccanti. Non possiamo vendere uve dalla colorazione gialla perché il consumatore è abituato a quelle verdi – ha spiegato Lombaard – il problema principale è la qualità costante, ci sono ancora molte differenze da un produttore all’altro, per cui è importante che i coltivatori sappiano come gestire queste nuove varietà”.
Anche la Germania ha grande considerazione dell’uva italiana, e ne è il primo importatore
Annabella Donnarumma, amministratore delegato di Eurogroup Italia/Rewe, ha spiegato così l’evoluzione dei consumi nel Paese: “Il 70-75% dell’uva oggi è senza semi, l’uva con semi diventerà sempre di più un prodotto di nicchia, ma dovrà essere di qualità premium. All’interno della Germania le preferenze cambiano: nel Sud si vende un’uva ancora gialla, ma più si va a nord più piace l’uva verde. L’innovazione varietale dovrebbe pensare a uve che pur poco colorate riescano a dare una sensazione di dolcezza”. Donnarumma ha poi parlato di export: “I produttori italiani hanno fatto sacrifici enormi negli anni per accontentarci, si sono evoluti, recependo le esigenze del mercato. Quello che manca è l’aggregazione, uno spirito di cooperativismo vero, per far fronte ai nuovi Paesi che si stanno affacciando sul mercato globale mantenendo l’attuale vantaggio”.
Dalla Spagna è arrivato il contributo di Joaquin Gomez Carrasco, presidente dell’associazione di produttori Apoexpa
“Da 20 anni in Spagna abbiamo iniziato la ricerca su nuove varietà, tutte senza semi perché quella con i semi sta sparendo”, ha commentato Carrasco, definendo l’uva senza semi una “quarta gamma naturale”. Parlando di mercati internazionali, Carrasco ha aggiunto: “La grande preoccupazione è che l’aumento della produzione porti a fluttuazioni di prezzo, per cui servono sbocchi su nuovi mercati, ma spesso la crescita è un processo lento. Quindi si tratta di produrre non maggiori quantità, ma migliore qualità, che è la sfida comune a tutti i produttori della zona del Mediterraneo”.
Clicca qui per leggere l’articolo completo pubblicato su italiafruit.net da Maicol Mercuriali