Nei giorni scorsi, ha fatto notizia l’occupazione della diga Ancipa, situata tra Enna e Messina, da parte dei cinque sindaci dei comuni di Troina, Gagliano Castelferrato, Cerami, Nicosia e Sperlinga. A scatenare la protesta – capitanata dai sindaci di cinque comuni dell’ennese, che dipendono esclusivamente dall’invaso in questione per l’approvvigionamento idrico – la riattivazione dell’erogazione dell’Ancipa, sospesa il 15 novembre in seguito alla notevole riduzione della capacità dell’invaso ormai quasi completamente a secco, verso le condotte di Caltanissetta e San Cataldo. Una scelta che ha scatenato una lotta senza esclusione di colpi tra Enna e Caltanissetta per accaparrarsi quello che ormai viene definito dai media locali “il prezioso liquido”. Nella sua drammaticità, l’episodio è presto diventato l’emblema della grave emergenza idrica che sta vivendo la Sicilia.
Una regione che, nonostante un investimento di oltre due miliardi in 17 anni per contrastare la siccità, è oggi rimasta a secco, generando una preoccupazione crescente in tutta l’Isola. In particolare, per quanto concerne l’agricoltura, ad allarmare è la situazione attuale dell’areale della Sicilia occidentale, dove insiste la produzione di uva Italia di Canicattì IGP, orticole e drupacee. A raccontarcela, Ignazio Gibiino, vicepresidente di Coldiretti Sicilia, agronomo e imprenditore agricolo.
La situazione è veramente difficile da poter inquadrare: al momento, si confida ancora nella stagione invernale per un po’ di pioggia. L’emergenza idrica, però, come si è visto con Ancipa, riguarda le strutture e in particolare lo stato in cui versano le dighe.
Per quanto riguarda le ricadute sull’agricoltura, bisogna guardare la situazione della Sicilia occidentale. Le dighe più importanti in questa zona, ossia quelle alle quali i produttori fanno riferimento durante i periodi estivi per le irrigazioni di soccorso, sono la diga San Giovanni e la diga Furore, bacino collaterale della prima. Volendo scattare la fotografia della situazione fino a novembre 2024, a fronte della capienza di 16 milioni m3 per cui è stata collaudata, la diga San Giovanni contiene oggi solo 4 milioni metri cubi d’acqua, che siamo riusciti a recuperare solo a seguito di una pioggia importante avvenuta circa un mese e mezzo fa. E questo perché già durante l’estate 2023, le piogge sono state veramente esigue e la diga è stata progressivamente depauperata. Fino ad arrivare a quest’anno quando è stata praticamente portata a zero per via delle irrigazioni di soccorso effettuate a più riprese dagli agricoltori nel tentativo di salvare le produzioni di uva da tavola, drupacee e orticole. Siamo d’altronde in un comprensorio ricchissimo dal punto di vista agricolo. La siccità, però, sta cambiando completamente il paesaggio e ci sta portando a rivalutare tutto, anche la possibilità di continuare a produrre certe colture. Molte aziende che non sono dotate di pozzi o fonti di approvvigionamento propri fanno quasi esclusivamente riferimento a questa diga che è gestita dal consorzio di bonifica: non poterne avere più accesso rischia dunque di compromettere intere annate produttive. E non dobbiamo guardare soltanto alle dighe, ma anche ai bacini imbriferi che – in assenza di piogge – non possono restituire l’acqua del sottosuolo e arrivare ai pozzi aziendali, i quali – non a caso – quest’anno si sono praticamente prosciugati. È tutto un dramma non soltanto per l’uva da tavola, ma per tutto quello che è il sistema agricolo di questa zona della Sicilia: ormai siamo abituati a inverni molto siccitosi e quando si verificano delle piogge, cadono con volumi così alti da creare stress e danni alle colture. In più, di queste il 40% viene perso perché non si riesce ancora a immagazzinare l’acqua piovana. La Regione sta cercando di offrire soluzioni per cercare di creare una serie di argini al fenomeno siccità che ormai è praticamente la regola piuttosto che l’eccezione: ci sono stati bandi per favorire la realizzazione di bacini aziendali o nuovi pozzi, ma l’emergenza idrica persiste.
Accanto al problema del clima che cambia, però, non può essere tralasciata la grave mancanza di lavori e interventi mirati alla realizzazione di un sistema idrico resiliente.
Esempio esaustivo in tal senso è quello della diga Gibbesi, giustamente definita da alcuni “l’eterna incompiuta”. Con una capienza di circa 11 milioni di metri cubi, per scopi irrigui e anche civili, questa diga interessa i comuni di Sommatino, Licata, Ravanusa, Campobello di Licata e Palma di Montechiaro, ricadendo integralmente nel territorio di Sommatino (CL). Si tratta di un invaso che potrebbe garantire un cospicuo approvvigionamento irriguo agli agricoltori della zona, ma che – sebbene ultimata nel 1992, più di 30 anni fa – non ha mai invasato acqua a causa dell’assenza del collaudo e delle opere di adduzione/canalizzazione. La diga Gibbesi, però, non è la sola. Gli invasi progettati, ma mai messi in funzione sono molteplici, per non parlare di quelli che – attivi da decenni – richiedono urgente manutenzione. Sull’Isola, infatti, sono numerosi i bacini e le dighe che, costruiti principalmente negli anni ’50-’80 con l’obiettivo di garantire una riserva idrica sufficiente per usi agricoli, industriali e civili, versano oggi in condizioni di inefficienza. Condizioni aggravatesi ulteriormente negli ultimi anni a causa di una combinazione di fattori ambientali, gestionali e infrastrutturali che si è presto tradotta in un inasprimento delle criticità nella gestione delle risorse idriche.
La crisi idrica in Sicilia è così diventata il risultato di decenni di negligenza, scelte politiche miopi e una cultura gestionale frammentata e inefficiente. Promuovere nuovi bandi a supporto della comunità è fondamentale, ma per fronteggiare realmente l’emergenza la retorica delle soluzioni a lungo termine non può più bastare: servono interventi radicali, immediati e un’assunzione di responsabilità collettiva. Al contrario, continuare a ignorare questa realtà equivale a condannare la Sicilia a un declino irreversibile, dove le opportunità offerte dalle risorse naturali dell’Isola saranno per sempre sacrificate sull’altare dell’inefficienza e dell’incuria.
Ilaria De Marinis
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