Endofiti: organismi dai mille benefici

Dalla promozione della crescita a una maggiore resistenza delle piante: con il prof. Sellitto scopriamo i vantaggi derivanti dall'impiego degli endofiti

da uvadatavoladmin
endofiti

Dopo aver approfondito le caratteristiche principali, analizziamo il meccanismo di azione degli endofiti e i vantaggi che si possono trarre dal loro impiego come agenti di biocontrollo.

Come anticipato, nonostante gli endofiti siano stati rilevati in tutte le parti della pianta, il suolo – attraverso le radici – rappresenta la prima via per il loro reclutamento, spesso attraverso un processo di selezione attiva da parte delle radici, che hanno il contatto più intimo con il suolo. Una volta entrati, alcuni degli endofiti possono traslocare nei germogli e nelle foglie muovendosi grazie alla traspirazione delle piante attraverso i vasi floematici e xilematici, che trasportano composti organici solubili, prodotti con la fotosintesi, come il saccarosio (via floema) e sostanze nutritive e acqua (via xilema). Sempre attraverso un trasferimento verticale del microbioma, batteri endofiti sono stati tuttavia rilevati anche negli organi riproduttivi delle piante come fiori, frutti e semi. Altre vie per l’infezione endofitica sono le ferite in corrispondenza di cicatrici fogliari, rotture di radici o dovute a danni meccanici. Anche per quanto riguarda gli endofiti della fillosfera, che colonizzano le cellule dell’epidermide superiore, del mesofillo a palizzata, i vasi xilematici e gli spazi tra le cellule dello strato del mesofillo lacunoso (o spugnoso), buona parte di questi derivano dal suolo, ma possono giungere anche attraverso aperture naturali (stomi e idatodi), ferite generate dall’azione di vento, patogeni e parassiti.

Riduzione degli stress da fattori abiotici

Le conseguenze del riscaldamento globale, il processo di desertificazione associato alla salinizzazione dei suoli, e gli eventi meteorologici estremi di siccità, inondazioni e freddo esercitano stress sempre maggiori sulle piante con conseguenze significative sui raccolti. In condizioni di forti stress abiotici, le piante aumentano la produzione di etilene, determinando una diminuzione della crescita della pianta o la morte cellulare. Le piante esposte a questi stress accumulano nelle radici l’1-amminociclopropano-1-carbossilato (ACC) (immediato precursore dell’etilene), che si diffonde sistematicamente nei germogli attraverso lo xilema, dove viene convertito in etilene dalla ACC-ossidasi, già presente nelle foglie. Tuttavia, alcuni microbi, come gli endofiti batterici, utilizzano proprio l’ACC come fonte di carbonio e azoto producendo ACC deaminasi. La produzione di ACC deaminasi è probabilmente la funzione più efficiente dei microrganismi per ridurre l’incidenza degli stress abiotici sulle piante.

In pratica l’uso di inoculi, che comprendono i produttori di ACC deaminasi batterica, può ridurre il livello endogeno di ACC nelle radici delle piante, aumentando la tolleranza delle piante agli stress.

Anche la produzione di fitormoni è una caratteristica comune degli endofiti finalizzata ad aumentare la tolleranza allo stress e incrementare la crescita delle piante. I geni che codificano le proteine per la biosintesi dell’acido indolacetico, delle citochinine e delle gibberelline, infatti, sono spesso presenti nel metagenoma delle comunità endofite vegetali. Le auxine sono i principali regolatori della crescita delle piante e presentano diversi effetti positivi sullo sviluppo dei germogli e delle radici, come le risposte di tropismo, divisione e allungamento cellulare, differenziazione del tessuto vascolare e avvio del processo di formazione delle radici. Le gibberelline sono essenziali in diverse risposte delle piante, compresa la germinazione dei semi, l’allungamento dello stelo, la fioritura, la formazione dei frutti e la senescenza. Alla produzione di fitormoni si associa anche un aumento della biodisponibilità di nutrienti, come fosforo, azoto e ferro, che consente di promuovere la crescita delle piante. Sebbene il ferro sia essenziale per tutti gli organismi viventi, la sua biodisponibilità nel suolo è limitata. La produzione da parte degli endofiti di siderofori, che chelano il ferro nel suolo, genera complessi solubili che possono essere facilmente assorbiti dalle piante. Inoltre, i siderofori sono coinvolti anche nella protezione delle piante, poiché privano i fitopatogeni del ferro. Analogamente, anche per l’azoto – fondamentale per la crescita e la salute delle piante – si stima che nei campi coltivati l’azoto disponibile provenga per circa il 30% dalla fissazione biologica di N2 da parte dei microrganismi del suolo. Tra questi, ci sono gli endofiti che possiedono i geni per la fissazione dell’azoto (ad esempio nifH).

In generale, un migliore stato di salute delle colture, associato anche a una maggiore resistenza alle avversità abiotiche, è frutto dell’attività di antagonismo degli endofiti nei confronti dei fitopatogeni.

Gli endofiti possono produrre metaboliti secondari, che sopprimono o riducono gli effetti negativi dei patogeni delle piante, e composti volatili in grado di sopprimere la crescita dei patogeni. I meccanismi coinvolti in questo processo includono la produzione di enzimi degradanti della parete cellulare (chitinasi, b-1,3-glucanasi) e di composti antimicrobici. In questo caso, ciò è possibile grazie alla sintesi di antibiotici o a un rafforzamento indiretto del sistema immunitario delle piante, attraverso l’induzione della resistenza sistemica acquisita (SAR) o della resistenza sistemica indotta (RSI) nelle piante ospiti. Accanto a questo, anche l’interferenza del quorum sensing (QS) dei fitopatogeni e la competizione per lo spazio e per i nutrienti possono inibire un ampio spettro di fitopatogeni. Infine, considerato che i modelli di colonizzazione sono simili a quelli dei fitopatogeni, gli endofiti hanno un enorme potenziale di utilizzo nell’ambito del biocontrollo e della biostimolazione in agricoltura. 

Gli endofiti fungini e batterici più comuni

Un numero considerevole di specie fungine già in uso come agenti di biocontrollo (BCA) – tra cui alcune appartenenti ai generi Metarhizium, Beauveria, Trichoderma, Purpureocillium e Pochonia – ha evidenziato un enorme potenziale nel fornire benefici ai loro ospiti attraverso le interazioni endofitiche. Diversi studi ipotizzano l’interazione endofitica delle specie fungine entomopatogene dei generi Metarhizium e Beauveria (M. robertsii, M. guizhouense, M. brunneum, M. flavoviridae, M. acridum, B. bassiana), che potrebbero avere la capacità di colonizzare e trasferire alle piante ospiti l’azoto (N) dalle larve di insetti parassitizzati (Fig. 4).

endofiti benefici

Questi funghi hanno la capacità di infettare gli insetti e di colonizzare endofiticamente le piante; combinando questi due stili di vita, potenzialmente i funghi possono trasferire l’azoto dagli insetti alle piante, creando un loop nutrizionale endofitico tra fungo, pianta e insetto parassitizzato. A tal proposito, alcuni studi hanno dimostrato che queste specie fungine sono in grado di promuovere la crescita delle piante e di migliorare la biodisponibilità dei macroelementi nel suolo. Anche per diverse specie del genere Trichoderma – ampiamente riconosciuto come importante agente di biocontrollo per le più comuni malattie fungine delle piante – è stata dimostrata la sua capacità post inoculazione di produrre IAA, di solubilizzare il P e di produrre siderofori.

Ne è un esempio T. asperellum che ha prodotto questi risultati in diversi lavori di ricerca.

Leffetto della colonizzazione endofitica è stato testato anche per i funghi nematofagi del genere Purpureocillium e Pochonia, dimostrando che anche questi sono in grado di promuovere la crescita dell’apparato radicale, specialmente per le piante coltivate in suoli stanchi (Fig. 5). I benefici della colonizzazione endofitica sono stati riportati su molte specie coltivate, dimostrando che questi funghi sono in grado di:

  • promuovere la crescita delle piante, 
  • aumentare la biomassa vegetale, 
  • modulare l’espressione dei geni di difesa,
  • sopprimere potenzialmente lo sviluppo di larve e di acari alimentati da piante che hanno ricevuto l’inoculazione fungina. 

Anche tra i batteri e gli attinomiceti oggi utilizzati per il biocontrollo e per la biostimolazione sono presenti specie con attività endofitica. I numerosi studi condotti sulle specie batteriche confermano l’attività endofitica di microrganismi del genere Bacillus (come B. subtilis, B. licheniformis e B. amyloliquefaciens) associata a meccanismi di resistenza ai fattori abiotici (aumento della produzione di prolina, produzione di fitormoni, ACC-deaminasi). Significativa risulta anche l’attività endofitica dei batteri del genere Pseudomonas (P. aeruginosa, P. fluorescens), del genere Paenibacillus e degli attinomiceti del genere Streptomyces, come pure quella documentata e valutata tra i batteri azotofissatori liberi del genere Azospirillum (A. brasilense), in particolare su frumento.

Conclusioni e prospettive future

Aumentare la produzione agricola utilizzando il microbioma associato alle piante è una prospettiva allettante. D’altra parte, la conoscenza della relazione endofitica tra piante e microbioma del suolo e la modalità d’azione sinergica e positiva risultano oggi fondamentali per ridurre o sostituire l’applicazione di fitosanitari e fertilizzanti, ricercando approcci alternativi, e per promuovere un’agricoltura più sostenibile. Nell’era del sequenziamento del DNA, della combinazione multi-omica di scienze come la metagenomica, la proteomica e la metabolomica e degli avanzati approcci computazionali di bioinformatica, la conoscenza sull’ecologia microbica nell’endosfera si è ampliata, rivelando un quadro più completo del microbioma e trasformando il modo di intendere gli endofiti. Proprio sulla base di queste tecniche sono state ottenute prove solide, secondo cui le piante definiscono nel suolo il proprio microbioma endofitico radicale e le radici svolgono un ruolo di reclutamento microbico. La capacità di colonizzazione endofitica delle colture da parte di diverse specie fungine e batteriche, comprese quelle utilizzate per il biocontrollo, ha dimostrato di essere un meccanismo promettente per raggiungere la sostenibilità in agricoltura. L’uso di funghi e batteri endofiti, si rivela dunque un’alternativa con grande potenziale nell’ambito del biocontrollo, della biostimolazione e della biofertilizzazione, dimostrando che tali organismi possono divenire un potente strumento per la ricerca e per le imprese. Per questo, comprendere le differenze tra i microbiomi dell’endosfera delle radici e quelli delle foglie o dei germogli costituisce un passo fondamentale per lo sviluppo di un chiaro percorso verso la realizzazione di soluzioni microbiche che siano alla base di un vero rinnovamento in agricoltura.

A cura di: Vincenzo Michele Sellitto
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