Dalla sua nascita, alla fine degli anni ’90, la tecnica fuori suolo applicata alla produzione dell’uva da tavola ha fatto diversi passi avanti. Gli studi degli ultimi due decenni sul fuori suolo hanno indicato che il grado di successo di questa tecnica è strettamente legato all’ottimizzazione di fattori genetici, ambientali e agronomici, che a loro volta richiedono un approccio multidisciplinare. Basandosi su precedenti rapporti di ricerca, la prima coltivazione sperimentale italiana di uva da tavola fuori suolo è stata effettuata nell’area meridionale della Sicilia (provincia di Ragusa) nel 1998, con il supporto scientifico dell’Università di Palermo e con quello tecnico e finanziario dell’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste.
L’Italia è il principale produttore di uva da tavola a livello europeo, ma per mantenere la competitività a livello globale sono necessarie nuove soluzioni e prospettive – tra cui anche il rinnovamento varietale – che si aggiungono ai già consolidati metodi di produzione convenzionali in pieno campo, con l’utilizzo di teli plastici e reti. Una di queste nuove prospettive è rappresentata dallo sviluppo di sistemi di coltivazione fuori suolo dell’uva da tavola in serra. Infatti, si ritiene che i tali sistemi offrano molti vantaggi in termini di avanzamento della maturità delle bacche, più facile manipolazione del ciclo vegetativo-riproduttivo, rese più elevate di produzione extra-stagionale di qualità, maggiore sostenibilità per la ridotta applicazione di fitofarmaci, e una maggiore efficienza nell’uso dell’acqua e dei fertilizzanti rispetto ai metodi convenzionali di coltivazione in pieno campo.
Tecnica del fuori suolo: vantaggi e svantaggi
La possibilità di coltivare la vite all’interno di un vaso attira da tempo l’attenzione dei produttori, tuttavia, è solo di recente che la coltivazione fuori suolo è stata sviluppata come sistema commerciale innovativo per la viticoltura dell’uva da tavola per le aree precoci e adatte ad inverni miti dell’Italia meridionale. Con questo sistema, che prevede condizioni di crescita in serra, le piante vengono rifornite di acqua e sostanze nutritive attraverso una soluzione nutritiva contenente macro e microelementi e può comportare o meno il riutilizzo delle acque di drenaggio, differenziando rispettivamente sistemi a ciclo chiuso o aperto. La tecnica del fuori suolo, basata sull’utilizzo di un substrato differisce dalla coltura idroponica, che a sua volta esclude qualsiasi terreno solido.
A conti fatti, la tecnica del fuori suolo dovrebbe consentire di superare eventuali inconvenienti derivanti da problemi legati al terreno e al portinnesto, tra cui la presenza di patogeni o parassiti tellurici e compattazione del suolo. Rispetto a un vigneto tradizionale, il fuori suolo può offrire ulteriori vantaggi, tra cui: estrema flessibilità varietale (rapido turnover delle cultivar), più semplice manipolazione del ciclo vegeto-produttivo, migliore sfruttamento dello spazio disponibile, rese per ettaro più elevate di produzione extra-stagionale di uva da tavola, maggiore sostenibilità grazie a una ridotta applicazione di fitofarmaci e una maggiore efficienza nell’uso di acqua e fertilizzanti.
D’altro canto, la tecnica del fuori suolo implica elevati costi di investimento – costi legati alla serra e alle attrezzature ausiliarie – e, tra l’altro, richiede adeguate competenze professionali. Non solo. Le diverse varietà di uva da tavola sono caratterizzate da una diversa adattabilità al sistema fuori suolo, per questo motivo si rende necessario mettere a punto questa tecnica caso per caso prima di effettuare grossi investimenti. Nello specifico è importante testare le diverse cultivar appena rilasciate, che possono differire significativamente l’una dall’altra in termini di vigoria, fertilità, risposta alle temperature, ecc.
Sperimentazione e ricerca: un pilastro di fondamentale importanza
Tra le ricerche condotte in Sicilia con le cultivar Victoria, Matilde e Black Magic in condizioni di ciclo aperto, le tecniche di coltivazione fuori suolo hanno evidenziato diversi comportamenti a seconda delle caratteristiche ambientali interne alla sera, come temperatura e umidità dell’aria, temperatura del substrato, deficit di pressione di vapore e densità di flusso di fotoni fotosintetici. Nel complesso, da tale ricerca è emerso che sia la copertura plastica che l’elevata densità di impianto (16.000 piante/ha) hanno contribuito al peggioramento di diversi parametri eco-fisiologici delle viti portando a valori di assimilazione e tassi di traspirazione non soddisfacenti rispetto agli standard riportati in letteratura. Questo peggioramento fisiologico delle colture si è ritenuto principalmente correlato a valori insufficienti di intensità luminosa e ha portato gli autori della ricerca a concludere che occorre prestare maggiore attenzione alle caratteristiche di trasmissione luminosa dei materiali plastici utilizzati per il rivestimento delle serre.
Tuttavia, sono stati ottenuti risultati incoraggianti da queste sperimentazioni che, in sintesi hanno dimostrato che è possibile ottenere buone produzioni con tecniche di fuori suolo, sia in termini di qualità delle uve, che di resa. Nel complesso, tali sperimentazioni hanno evidenziato le elevate potenzialità offerte da questo tipo di coltivazione in termini di anticipo della maturazione dell’uva e quindi di raccolta, ma sono necessarie ulteriori ricerche e sperimentazioni per determinare l’idoneità complessiva di questa tecnica di coltivazione sulle nuove cultivar e nei diversi ambienti climatici di produzione.
Donato Liberto
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