Mal dell’esca: parola agli agronomi di campo

Gli agronomi Di Gennaro e Tornello approfondiscono il complesso del mal dell'esca negli areali pugliesi e siciliani

da Redazione uvadatavola.com

Dopo aver affrontato dal punto di vista teorico il complesso del mal dell’esca grazie all’articolo di Silvia Seripierri – che puoi leggere qui, volgiamo lo sguardo al campo.

Qual è la pressione del mal dell’esca nei principali areali italiani vocati alla produzione di uva da tavola? Per saperne di più e poter avere una panoramica completa della problematica sul territorio italiano abbiamo posto alcune domande a due agronomi, uno siciliano e l’altro pugliese.

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Sintomi di mal dell’esca su vite. Foto di Domenico Di Gennaro

Con Domenico Di Gennaro, consulente presso le aziende agricole viticole, approfondiamo la pressione della malattia nei vigneti pugliesi del Nord e del Sud Est barese. Con Giuseppe Tornello, invece, di Coragro, studio associato di consulenza tecnica in campo per vite da tavola, agrumi e drupacee e centro di saggio “Coragro Srl”, approfondiamo quella nei vigneti di alcuni comuni siciliani, dell’areale in cui si coltiva l’uva IGP di Mazzarrone. Si tratta di una zona che comprende i comuni di: Mazzarrone, Licodia Eubea e Caltagirone (in provincia di Catania), Acate, Chiaramonte Gulfi, Comiso e Vittoria (in provincia di Ragusa).

I due tecnici di campo appaiono concordi su diversi punti, tra cui l’importanza di evitare tagli, e quindi ferite grandi, e l’uso del Trichoderma come mezzo per il contenimento degli agenti di mal dell’esca. Emergono, invece, visioni contrastanti circa l’uso di prodotti cicatrizzanti in seguito alle operazioni di potatura. Proprio negli ultimi anni sono sorte a riguardo due diverse scuole di pensiero. Come spesso accade, “la” soluzione corretta non esiste e occorre valutare di volta in volta le condizioni in cui si opera, seguendo la strada che in quel momento sembra essere più indicata.

Come definireste la pressione di mal dell’esca nei territori in cui operate?

mal dell'esca

In foto: l’agronomo Giuseppe Tornello

“Il mal dell’esca oggi – comincia Giuseppe – è una delle principali cause che spingono i produttori siciliani a estirpare i vigneti; interessa tutte le varietà di uva, ma mostra un decorso differente a seconda della precocità della varietà. Negli anni, infatti, ho notato una maggiore presenza di mal dell’esca sulle cultivar più tardive come Italia e Red Globe, condotte sotto telo per ritardare la raccolta. Al contrario ho notato una minore diffusione sulle varietà più precoci come Vittoria e Black magic, condotte sotto serra o sotto telo. Quando parliamo di mal dell’esca, però, dobbiamo considerare che non ci stiamo riferendo a un solo fungo, ma a un insieme di funghi, perciò è più corretto parlare di “complesso” del mal dell’esca”.

“Il mal dell’esca, in passato – afferma Domenico – era una malattia fungina presa poco in considerazione. Oggi, però, può essere considerata una delle patologie chiave per i vigneti pugliesi, infatti la ritrova, a seconda delle annate, in tutti gli areali di produzione che seguo. La patologia è di origine fungina e si sviluppa a carico della parte legnosa della vite. Purtroppo si tratta di una patologia non realmente conosciuta, perché causata da un complesso di specie fungine tra cui ritroviamo: Phaeomoniella chlamydospora, Phaeoacremonium minimum e Fomitiporia mediterranea. Si tratta di funghi che si insediano nei vasi xilematici e floematici della pianta”.

Quali sono i danni che il complesso del mal dell’esca provoca su vite da tavola?

“I sintomi – prende la parola Domenico Di Gennaro – possono presentarsi sotto diverse forme, a seconda del vigneto e in base ai patogeni coinvolti. Sulle foglie la presenza dei funghi si manifesta con aree necrotiche internervali, bordate di giallo o di rosso, dette anche foglie tigrate. I frutti possono presentare striature necrotiche, mentre nel legno si possono osservare necrosi bruno-rossastre, annerimenti puntiformi e carie del legno, di colore giallastro e con consistenza spugnosa”.

“Molteplici sono i danni provocati dal complesso del mal dell’esca e a ogni modo è bene rimarcare che le sintomatologie variano al variare del complesso di funghi che infestano il vigneto. Può accadere – spiega Giuseppe – che la malattia porti la pianta alla morte in pochi giorni, quando il disseccamento avviene su tutta la vite e in tempi brevi, per cui si definisce “colpo apoplettico”. In una casistica molto più diffusa, invece, il processo che porta alla morte della pianta può durare anche diversi anni. La sindrome può colpire anche solo alcune parti della pianta. I danni sono visibili su foglie, frutti e legno (tralci e tronco). Sulle foglie delle piante colpite compaiono delle eziolature o tigrature. Sul frutto, invece, è possibile osservare maculature di colore rosso scuro tendente al marrone. Tutto ciò, ovviamente, contribuisce a deprezzare il frutto. L’uva affetta da mal dell’esca mostra acini con tessuti sfaldati, “terra di conquista” per i marciumi. Sul legno, invece, possiamo notare l’imbrunimento di alcune porzioni, che successivamente disseccano. Questo accade perché il fungo occlude i vasi linfatici ostruendo il passaggio dei nutrienti. Come anticipato, ciò può avvenire anche solamente in una porzione circoscritta della pianta. Considerando, ad esempio, una pianta con quattro branche, la malattia potrebbe localizzarsi solo in due delle quattro branche. In questo caso è possibile asportare le parti malate della pianta per lasciare in vita la porzione sana”.

Mal dell'esca

Vite che ha subito dendrochirurgia, foto di Domenico Di Gennaro.

Di Gennaro aggiunge: “L’eliminazione delle porzioni infette di piante malate prende il nome di “dendrochirurgia”, ossia la tecnica che, se correttamente eseguita, assicura tassi di ripresa elevati. Asportando la parte compromessa dai funghi che causano la carie del legno, infatti, è possibile tentare di recuperare la produttività di piante malate. Aspetto fondamentale, però, è che tale operazione di dendrochirurgia sia compiuta assicurandosi di asportare tutto il legno malato”.

Cosa agevola lo sviluppo del mal dell’esca?

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In foto: l’agronomo Domenico Di Gennaro

“Nel tempo ho avuto modo di osservare come piante sane e vigorose resistono meglio ai patogeni. Condizioni di eccessiva vigoria, però – puntualizza Di Gennaro – rendono le piante più suscettibili alle malattie. È importante rispettare in fase di potatura il flusso dei vasi linfatici, evitando tagli di ritorno importanti in considerazione dei coni di disseccamento che si vengono a formare. I patogeni agenti di mal dell’esca, si mostrano più invasivi in vigneti con cattivo drenaggio o con ristagni di acqua. Occorre, quindi, porre grande attenzione alla preparazione del terreno che ospiterà il vigneto, alla progettazione dell’impianto irriguo e alla gestione degli apporti irrigui”.

“Le cause – continua Giuseppe Tornello – che portano all’aumento della presenza del mal dell’esca all’interno dei vigneti sono riconducibili prima di tutto alle operazioni di potatura e alle condizioni climatiche che, se eccessivamente umide, possono agevolare la proliferazione di funghi; anche nei giorni successivi alla potatura. Inoltre, è bene sapere che il mal dell’esca si sviluppa prediligendo le porzioni di legno in cui scorre linfa, perciò è opportuno prestare la massima attenzione quando si effettuano le seguenti operazioni: potatura, potatura verde, defogliazione e incisione anulare”.

In che modo prevenire il mal dell’esca?

“Tra gli accorgimenti utili a prevenire il mal dell’esca – suggerisce Di Gennaro – vi è senz’altro l’utilizzo, in fase di realizzazione di un nuovo impianto, di materiale di propagazione sano e certificato. Inoltre sarebbe opportuno:

  • evitare concimazioni e irrigazioni eccessive;
  • lavorare il terreno per permettere un buon drenaggio;
  • segnalare le piante infette per potarle dopo aver potato quelle sane, in modo da non contribuire alla diffusione dei patogeni;
  • eliminare le piante malate allontanando dall’impianto – il prima possibile – i loro residui di potatura (questi, per legge, non possono essere bruciati, perciò andrebbero triturati in un luogo distante dal vigneto);
  • non usare mastici sulle ferite perché, secondo la mia opinione ed esperienza, creano le condizioni favorevoli alla proliferazione del patogeno”.
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Sintomi di mal dell’esca sugli acini. Foto di Domenico Di Gennaro

“In Sicilia – aggiunge Tornello – quando ci si accorge che una pianta è affetta da mal dell’esca per prima cosa la si contrassegna. In questo modo tutti gli operatori si adoperano per evitare il contatto dei mezzi tecnici con la parte di pianta infetta. Successivamente la pianta viene tagliata ed estirpata. Se ci si trova in un impianto giovane di 1-6 anni, si provvede a reimpiantare con una vite sana, mentre nei vigneti con piante più vecchie il reimpianto non è consigliato. Un vigneto affetto da mal dell’esca si considera economicamente sostenibile se il numero di piante infette non supera il 25-30% delle piante totali. Oltre tale percentuale di infezione è, quindi, antieconomico continuare a produrre in quello stesso vigneto.
Personalmente, quando è il momento di potare, consiglio ai produttori di far entrare gli operatori in vigneto dopo aver controllato le condizioni climatiche. Non ritengo, infatti, sia opportuno praticare incisioni e tagli sulle piante durante le giornate più umide. Negli ultimi anni, purtroppo, in Sicilia si stanno susseguendo sempre più frequentemente inverni poco freddi, di caldo umido, che agevolano lo sviluppo e l’insediamento dei funghi patogeni.

Alle aziende, inoltre, consiglio di:

  • ritardare il più possibile la potatura invernale;
  • evitare tagli importanti, in modo da ridurre la superficie esposta.

Se è indispensabile effettuare tagli importanti, diventa opportuno coprire le porzioni di legno fresco con prodotti cicatrizzanti per inibire lo sviluppo del patogeno, immediatamente dopo la potatura”.

Come proteggere la pianta?

“Purtroppo – afferma Domenico Di Gennaro – non esistono cure dirette contro questa malattia. La migliore strategia per difendere il proprio vigneto è la prevenzione. Bisogna fare di tutto per evitare che le piante si ammalino o che l’infezione si diffonda da una vite all’altra. Tuttavia prodotti a base di Trichoderma si sono dimostrati utili per prevenire le infezioni di mal dell’esca: le spore di Trichoderma colonizzano le ferite di potatura impedendo l’insediamento dei funghi patogeni. Il Trichoderma è di fatto un fungo antagonista in grado di competere per accaparrarsi la sua nicchia ecologica; occupa spazio sottraendo sostanze nutritive al patogeno e produce enzimi litici, ovvero sostanze che inibiscono la formazione dei patogeni”.

A conclusione della chiacchierata, Tornello conferma: “Le specie di funghi afferenti al genere Trichoderma rappresentano oggi l’unico mezzo tecnico registrato sul mercato per contenere il complesso del mal dell’esca. Per il suo utilizzo è sufficiente bagnare il legno tagliato con il formulato a base di Trichoderma, i cui risultati sono molto più evidenti su piante giovani”.

Autrice: Teresa Manuzzi
©uvadatavola.com

 

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