Nutrizione e gestione agronomica di un vigneto condotto in bio

da Redazione uvadatavola.com

L’agronomo Giacomo Mastrosimini spiega come produrre uva da tavola in regime biologico. L’esperto in questo primo articolo approfondisce la nutrizione e soprattutto la gestione agronomica di un impianto ad uva da tavola.

 

Per produrre uva in bio si deve arricchire la sostanza organica del suolo e favorire la biodiversità.

 

Quali elementi bisogna tenere in considerazione per la gestione in bio di un vigneto ad uva da tavola?
Come prima cosa occorre valutare il terreno: è importante che questo abbia un alto indice di fertilità, un presupposto che vale per qualsiasi coltivazione. Oltre ad una fertilità di tipo chimico, legata agli elementi nutritivi, è necessario valutare anche la fertilità di tipo biologico, connessa alla presenza di una grande varietà di microrganismi. Queste condizioni del terreno portano le piante che in esso si sviluppano ad avvantaggiarsi di un “sistema di difesa” indotto dai microrganismi presenti. Essi infatti interagiscono con l’apparato radicale, per cui la pianta comincia ad emettere segnali di difesa nel caso in cui dovessero insorgere malattie. La presenza di microrganismi porta alla formazione anche di metaboliti secondari, in grado di promuovere la radicazione e la produzione di fitormoni (come auxine, citochinine e gibberelline), che aiutano la pianta a crescere meglio e a determinare una maggiore potenzialità produttiva.

Quali sono i passi da compiere per la gestione agronomica di un vigneto in bio?
Partendo da zero, la prima cosa da fare è arricchire il terreno di sostanza organica. Lo si può fare in tanti modi, innanzitutto spargendo letame nel quale è presente una notevole quantità di microrganismi. Il letame deve essere stagionato: se non lo è si rischia di ottenere l’effetto contrario, favorendo processi indesiderati di fermentazione all’interno del terreno e inducendo la formazione di microrganismi dannosi per le piante. Il letame non stagionato, inoltre, ha una velocità di decomposizione molto alta, con conseguente rilascio eccessivo di elementi nutritivi ed in particolare di azoto, che indurrebbe nella pianta un eccessivo vigore, controproducente per l’auto-difesa dalle malattie.

Importanti sono anche gli inerbimenti, in quanto hanno una duplice funzione: per un verso apportano sostanza organica attraverso la massa vegetale che si produce durante il periodo di crescita, per l’altro arricchiscono e favoriscono l’alimentazione dei microrganismi presenti all’interno del terreno. Numerosi studi dimostrano che oltre il 30% dei fotosintati della pianta (cioè i prodotti della fotosintesi), vengono trasmessi nel terreno dalle radici attraverso gli essudati radicali. Questi ultimi non sono altro che carboidrati, vitamine, fattori di crescita e proteine che favoriscono l’alimentazione dei microrganismi nel terreno. In molti casi avviene anche una simbiosi tra le radici ed i microrganismi. La radice dona essudati radicali mentre i microrganismi offrono alla pianta dei metaboliti secondari, come per esempio le oxine.

La leguminosa, ad esempio, è in grado di rendere disponibile il fosforo che è presente nel terreno, ma che non è assimilabile da parte delle piante. Si tratta di un fattore che offre giovamento al vigneto, perché le leguminose oltre a produrre azoto, rompono il terreno, rendono la sua struttura più soffice e fanno in modo che il fosforo sia disponibile per la pianta. Le graminacee, invece, sono in grado di produrre dei siderofori attraverso l’apparato radicale. I siderofori non sono altro che degli agenti chelanti naturali in grado di chelare il ferro, rendendo così disponibile per la pianta il ferro non assimilabile dal terreno. Le brassicaceae, invece, producono glucosinolati che hanno effetti deleteri per i nematodi. In questo caso, quindi, non abbiamo solo nutrizione, ma anche difesa contro alcuni patogeni. Un’altra cosa importante per ciò che concerne la gestione agronomica, è quella di smuovere il terreno il meno possibile. Infatti una buona gestione prevede l’esecuzione dell’operazione di ri puntatura delle sole carreggiate dopo la raccolta.

La lavorazione minima del suolo permette di evitare l’inversione del profilo del terreno, ovvero riportare in superficie il terreno più profondo e viceversa. Questa operazione permette di arieggiare la parte più delicata del terreno, quella sottoposta allo stress di calpestio da trattore. Occorre effettuare delle lavorazioni molto leggere su tutta la superficie per poi eventualmente praticare la semina per l’inerbimento nel corso dell’autunno. In estate, quindi, è necessario evitare quanto più possibile le lavorazioni. Se si è costretti a farne qualcuna, sarebbe opportuno evitare il “totale” controllo dell’erba. In questo caso è opportuno predisporre un controllo parziale delle infestanti, in modo tale da indurre un soffocamento dell’erba, ma non la sua completa eliminazione. Finora ho parlato di nutrizione in maniera generale, legata più che altro ai benefici dell’inerbimento, ma possiamo dire un’altra cosa importante: bisogna rispettare il bilancio nutrizionale. Oggi sul mercato sono a disposizione una notevole quantità di prodotti registrati in biologico, prodotti organici con alte percentuali di elementi nutritivi, che possono essere utilizzati in maniera bilanciata per evitare eccessi di vigore.

A tal proposito risulta fondamentale anche una corretta gestione dell’irrigazione.
Nei vigneti convertiti in biologico si fa molto affidamento, come detto, sulla sostanza organica e su quello che la decomposizione di questa restituisce alle piante. Ipotizziamo di avere un terreno già ben dotato di sostanza organica, intorno al 3%. Questa decomponendosi si divide in CO2 ed elementi nutritivi. Ciò che rimane sono elementi minerali: azoto, fosforo, potassio, ferro, calcio ed altro ancora. Elementi che effettivamente vengono assorbiti dalla pianta. Se su un ettaro di terra solo il 20% della superficie risultasse bagnata dai sistemi di irrigazione a goccia, potrei contare sull’assimilazione del solo 20% di superficie bagnata. Un terreno poco umido non favorisce la decomposizione e gli elementi nutritivi presenti nella sostanza organica non vengono resi disponibili. Risulta pertanto fondamentale cercare di bagnare quanta più superficie possibile dell’appezzamento.

Quanto appena detto è in contrasto rispetto ai principi dell’irrigazione a goccia.
In un certo senso sì, però dobbiamo anche considerare che lavoriamo in un ambiente protetto (sotto telo), dove la circolazione dell’aria risulta molto scarsa e pertanto bisogna necessariamente allargare il sesto di impianto, per favorire la circolazione. Il sistema di irrigazione a goccia si può utilizzare, ma prevedendo due ali gocciolanti sulla fila invece che una sola. Questo mi aiuterà a raddoppiare la superficie del terreno inumidita e quindi la vite avrà a disposizione più sostanza organica. Secondo me è preferibile, in ambito biologico, un’irrigazione a goccia superficiale, perché la maggior quantità di sostanza organica (quella che mi serve per offrire alla pianta gli elementi nutritivi) si trova negli strati più superficiali del terreno.

 

Autore: Teresa Manuzzi 

@uvadatavola.com

  

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