Con l’agronomo Domenico Annicchiarico, di Floema – Mediterranean Agronomic Consulting, approfondiamo tutti i punti di forza della realizzazione del Catasto Frutticolo.
Strumento previsto dall’ultima manovra finanziaria dell’attuale governo, e della cui realizzazione, al momento, non si hanno più notizie.
“Già nel dicembre 2018 la Legge di bilancio aveva previsto di destinare circa 2milioni di euro durante il 2019 e altri 3milioni di euro durante il 2020 per far fronte alla realizzazione del Catasto ortofrutticolo nazionale. Nella stessa misura, inoltre, erano stati previsti anche 1milione di euro per il 2019 ed un altro milione di euro per gli apicoltori. La misura, infine, prevedeva anche 57 assunzioni con il fine di vigilare sulle frodi alimentari. Tutto però pare fermo. Ad oggi c’è ancora la necessità di comprendere come si stanno evolvendo le superfici agricole sia per specie che per varietà. Un lavoro di questo tipo alimenterebbe la competitività, non interna, bensì quella tra i diversi Paesi produttori della Comunità Europea”.
Oggi, senza lo strumento del catasto frutticolo programmare è impossibile perché l’Italia non conosce il valore, le quantità, le varietà e le specie di frutta che essa stessa produce.
Programmare il cambiamento (varietà e calendari) è impossibile senza il catasto
“Sempre più spesso l’Italia è costretta a fare i conti con Spagna, Francia e Grecia per spuntare prezzi migliori o programmare la raccolta. Ad oggi però ogni tipo di programmazione è impossibile perché l’Italia non conosce il valore, le quantità, le varietà e le specie di frutta che essa stessa produce. Stiamo vivendo anni di profondo rinnovo varietale nella frutticoltura in particolare. Alcuni esempi sono il comparto dell’uva da tavola, degli agrumi o delle drupacee. Mentre a livello europeo sappiamo benissimo come si stanno orientando i Paesi e quali sono le tendenze, in Italia non sappiamo cosa stiamo piantando e cosa avevamo già in produzione. Solo 3 o 4 regioni del Bel Paese hanno cominciato a parlare ed a porre le basi per un loro catasto. Si tratta di Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Le regioni dove è concentrata la maggior parte della produzione ortofrutticola nazionale, ovvero Campania, Sicilia e Puglia, sono completamente carenti dal punto di vista della trasmissione dei dati”.
Nella foto l’agronomo Domenico Annicchiarico
OP, Cooperative e GDO sono fondamentali per gettare le basi del Catasto
“Il ruolo delle cooperative e delle OP risulta quindi fondamentale in questo processo. Esse infatti, per ragioni personali di programmazione, possiedono dei personali “catasti” riguardanti le aziende agricole a loro afferenti. Si potrebbe quindi partire da quei dati, per gettare le fondamenta del catasto, anche se, ne sono cosciente, non sono sufficienti. Anche perché non tutti i produttori italiani fanno parte di cooperative ed OP. Un’altra grande mano potrebbe giungere dai registri interni della GDO. Allo stesso tempo è anche vero che esiste della merce che “sfugge” alla GDO, si tratta di quella che viene venduta nei mercati locali o direttamente dai produttori. Questo vuol dire che c’è da lavorare molto”.
Il catasto farebbe fiorire l’aggregazione e quindi rafforzerebbe i produttori
“A mio avviso una buona mappatura delle diverse produzioni ortofrutticole italiane potrebbe anche essere lo spunto per innescare nuove aggregazioni al fine di promuovere una nuova strategia commerciale. Spesso accade, infatti, che all’interno di una stessa regione abbiamo diverse colture specializzate di ottima qualità. Ad esempio molti areali del foggiano e del brindisino sono dediti alla produzione di carciofo. La Puglia ne va fiera ed il business è interessante, ma non si conosce la vera estensione di questa coltura, così come ignoriamo i quantitativi prodotti. Un registro delle coltivazioni potrebbe spingere aziende concorrenti ad aggregare l’offerta, accordarsi sulle varietà, sui prezzi, sulle tempistiche di raccolta. Anche questo vuol dire agricoltura smart, agricoltura intelligente e attenta”.
Calendario di raccolta nazionale: un sogno realizzabile grazie al catasto
“Infine, ma non per ultimo, non dobbiamo dimenticare che possedere un catasto ortofrutticolo nazionale ci permetterebbe di capire quali sono le varietà più utili da coltivare e quelle che sarebbe meglio espiantare. Sulla base di questo potremmo quindi costruire un calendario di raccolta più aderente alla domanda di mercato“.
“Dovremmo cercare di cambiare per un attimo prospettiva, infatti la paura generata dalla GDO è più nociva dei prezzi troppo bassi. Spiego, pensare che è meglio non far sapere cosa si produce per non far fare i conti nelle nostre tasche alla Grande Distribuzione Organizzata è sterile, perché è proprio la disorganizzazione produttiva e la mancanza di una calendarizzazione nazionale delle raccolte che favoriscono l’impoverimento del settore produttivo e permettono alla GDO di ricoprire il ruolo di “padre padrone” [Anche se in questo caso andrebbe considerato che è il mercato stesso a generare questo tipo di dinamiche. Infatti le GDO sono poche e grandi, perciò riescono ad imporre il prezzo, mentre esportatori e produttori sono costretti a subirlo. Si tratta di una delle leggi di base dell’economia di mercato]. La disorganizzazione che viviamo è la più grande debolezza del comparto. Se i dati delle produzioni e delle varietà fossero accessibili i produttori potrebbero coordinarsi meglio circa le varietà da coltivare, gli esportatori potrebbero pianificare meglio i tagli e il territorio ne uscirebbe rafforzato. Su questo fronte emerge prepotentemente la maggiore libertà che hanno le OP e le cooperative. Per le OP è un passo fondamentale organizzare e programmare la raccolta, è impensabile che il mondo produttivo non si batta e non senta la necessità di uno strumento che, se ben utilizzato, offrirebbe nuove chances ai produttori”.
Autore: Teresa Manuzzi
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