Salviamo l’agricoltura italiana, intervista al fondatore Adelino Cordioli

da Redazione uvadatavola.com

Adelino Cordioli, 45 anni, della provincia di Verona, oltre ad essere agricoltore da 3 generazioni si occupa di commercio di ortofrutta (import-export). È lui il fondatore del movimento “Salviamo l’agricoltura italiana”.

Movimento che da circa un paio di mesi sta raccogliendo adesioni da parte dei diversi anelli della catena produttiva del settore primario in tutto lo Stivale. Adelino la scorsa settimana è giunto in Puglia e noi di uvadatavola.com ne abbiamo approfittato per intervistarlo. In questo articolo approfondiremo come è nato e cosa si propone di fare il neonato movimento.

Come è nato “Salviamo l’agricoltura italiana”?
“Coltivo kiwi verdi, gialli e rossi, albicocche e pesche nettarine, ma queste ultime abbiamo dovuto estirparle perché la Spagna ci ha rovinato il mercato. In questi due anni in Italia è mancato molto kiwi e sono stato costretto ad andare in Grecia per acquistarne. Durante questi due anni ho notato che in diversi settori della frutticoltura i produttori greci stanno crescendo molto per volumi e qualità. La qualità italiana non è più sufficiente perché gli altri Stati produttori di anno in anno si specializzano e quando i loro prodotti giungono sui mercati di tutto il mondo l’unica differenza che notiamo con i nostri è esclusivamente legata al prezzo. Bisogna considerare che su di un container di frutta possono esserci anche 5, 6 o 7 mila euro di differenza dal prezzo italiano a quello greco. Negli anni passati il prodotto italiano era ancora riconosciuto in tutta europa per la sua qualità. Con il passare del tempo però la qualità della frutta greca è migliorata. Dobbiamo comprendere che il nostro non è più un prodotto che ha l’esclusiva sulla qualità”.

“Ad oggi i produttori italiani subiscono la concorrenza di diversi Paesi produttori: Grecia (kiwi), Spagna (uva e drupacee), Polonia (mele), Bulgaria, Romania e Cecoslovacchia (piccoli frutti). Si tratta di Paesi in cui i costi per la manodopera sono notevolmente più bassi dei nostri. I nuovi coltivatori inoltre, avendo piante più giovani, hanno un prodotto migliore per colorazione, ad esempio. Dopo aver visitato alcune aziende agricole greche mi sono detto: “In Italia siamo finiti!”. Non facciamo che perdere mercati anno per anno. Credevamo che specializzandoci sulle lunghe distanze potessimo sopravvivere proponendo la nostra merce su mercati non alla portata della Grecia. Questo inverno però alcuni clienti indonesiani, di Singapore e Cinesi, con i quali ero in trattative, hanno rifiutato la mia offerta rispondendomi: “Il prodotto greco costa meno”. I greci sono riusciti ad esportare anche su mercati lontani. La frutta estiva l’abbiamo persa a causa della concorrenza spagnola, quella invernale la perdiamo a causa della Grecia e della Polonia. I nostri concorrenti crescono molto velocemente anche per le coltivazioni in Bio“.

Queste sono state quindi le premesse e cosa è accaduto successivamente?
“Esatto, queste sono state le premesse che mi hanno portato, il 6 marzo 2019, a lanciare un grido d’allarme sul portale Freshplaza.it”.

Quando parla di costi parla per lo più di costi del lavoro immagino. Non pensa che l’introduzione di nuove tecnologie in campo possano aiutare i produttori a risparmiare ed a ridurre i costi, talvolta anche legati alla manodopera?
Il 70-80% del costo di un kg di frutta è legato alla manodopera. Parlare di impianti e sensoristica vuol dire parlare di etica e questa è una cosa buona. Secondo me però le tecnologie di cui disponiamo non riuscirebbero a far abbassare sensibilmente i costi di produzione. Un bracciante costa in Italia dagli 11 ai 12 euro all’ora, in Grecia oscilla tra i 2,80 e 3,50 euro all’ora, in Polonia 1,60 euro all’ora. I produttori di ortofrutta italiani subiscono la concorrenza estera anche “in casa”. L’insoddisfazione alimenta anche, di stagione in stagione, la bassa qualità del prodotto. Si entra in un circolo vizioso per cui il nostro prodotto sarà sempre qualitativamente inferiore, mentre i Paesi che avranno soddisfazione nel produrre saranno spinti a lavorare sempre meglio per ottenere una maggiore qualità.

Dopo aver preso atto di questo come si è mosso?
“Ho individuato quattro punti per rilanciare l’agricoltura italiana. Ho provato a pensare all’agricoltura italiana come un’unica grande azienda. Se un’azienda va male occorre trovare nuove condizioni per essere competitivi. La criticità più grande a mio avviso è che siamo tutti in Europa, ma non giochiamo ad armi pari, perché non si lavora per armonizzare i costi e le leggi tra i diversi Paesi. Ecco, questo è il primo punto. Il secondo punto è l’ottimizzazione dei costi. Mi riferisco all’ottimizzazione della logistica, alla programmazione delle produzioni, ma sempre in ottica europea, non nazionale. Per noi produttori risulta fondamentale capire dove il mercato è saturo e dove c’è possibilità di investire. Purtroppo in agricoltura funziona così, si pianta quello che ha piantato il vicino. Abbiamo bisogno però di una visione globalizzata delle produzioni”.

Armonizzare i costi di produzione nell’UE, programmare le produzioni europee, investire in ricerca e sviluppo e aprire nuovi mercati: i 4 punti per rilanciare l’agricoltura italiana.

“Il terzo punto è investire in ricerca e Sviluppo. Che sarebbe esattamente quanto realizzato in questi anni dalla Spagna. Abbiamo bisogno di nuove varietà autoctone, è un passaggio imprescindibile se davvero vogliamo continuare a parlare di made in Italy ed essere competitivi. Abbiamo bisogno di varietà capaci di resistere a nuovi insetti, a nuove malattie e al cambiamento climatico. Il nostro obiettivo è tagliare gli sprechi per investire quei soldi in ricerca e sviluppo. Infine vorremmo fare pressione al ministero delle Politiche Agricole per aprire nuovi mercati. Mentre gli altri Paesi Europei conquistano sempre più mercati noi siamo fermi. Spagna, Portogallo e Francia esportano in nuovi Paesi. Da quando la Russia ha precluso l’accesso all’ortofrutta europea le produzioni di Grecia, Polonia e Spagna in parte si sono riversate in Europa e in parte sono riuscite a conquistare nuovi mercati. Chiediamo quindi di lavorare per l’apertura di nuovi sbocchi commerciali”.

Quindi siete a favore del catasto ortofrutticolo?
Certo siamo a favore del catasto, ma a mio avviso si deve procedere con un’ottica europea, se non addirittura mondiale, perché agiamo all’interno di un mercato che di fatto è globale.

Cosa è accaduto dopo la pubblicazione dell’articolo su Freshplaza?
Abbiamo aperto una pagina facebook. in due mesi abbiamo ottenuto un seguito di 10500 iscritti. Un mese fa ho chiesto agli aderenti al movimento di esporre la bandiera italiana all’interno della propria azienda agricola. L’obiettivo era incuriosire e far conoscere l’iniziativa ai produttori che non hanno social o che non usano whatsapp, dove pure ci stiamo organizando. Grazie a questo hanno parlato di noi già tre TG regionali della Rai.

La bandiera italiana è stata scelta come simbolo di unità, come un ombrello capace di accogliere tutte le esigenze, le voci e le entità che costellano il nostro settore. Per cambiare le cose abbiamo bisogno di una forza che sia nazionale. Per ora l’obiettivo è unire tutti coloro i quali operano all’interno del settore primario. Per affrontare un tema nazionale serve una forza nazionale. Ho cominciato a lavorare per unire agricoltori, commercianti, associazioni e indotto (trasporti, imballaggi, rivendite). Vorrei che la politica recepisse un messaggio molto semplice: il settore agricolo conta. Non essendo mai stati uniti non siamo mai riusciti ad attrarre la politica.

Che risposta avete avuto?
Tantissimi produttori o lavoratori dell’indotto ci hanno contattato per aderire al movimento che è stato chiamato “Salviamo l’agricoltura italiana”. Giorno per giorno riceviamo sempre più adesioni. Ho cominciato organizzando gruppi whatsapp per ogni regione. Ovviamente esiste anche un gruppo nazionale al quale giungono tutti i feedback.

Quali sono i prossimi passi che intendete compirete?
Per ora sto ancora facendo appello adociazioni e produttori di aderire. Sono già in contatto con alcuni dei rappresentatnti delle associazioni di produttori. Noi per ora siamo un gruppo informale. L’obiettivo è coalizzare l’intero settore. Siamo coscienti del fatto che è la politica che cambia le cose, ma alla politica interessano i voti; quindi il mio obiettivo  è realizzare un serbatoio di voti così da poter aprire una trattativa con il mondo politico. Ottenendo il consenso da parte di milioni di persone potremmo muovere milioni di voti, ed allora sì che i politici saranno costretti ad ascoltarci. Al momento siamo apartitici ed apolitici.

Chi vuole avvicinarsi a voi cosa deve fare?
Può scrivere al numero ufficiale del movimento (cell: 3938887137) o inviare una mail a salviamolagricolturaitaliana@gmail.comSiamo ancora in piena fase organizzativa. Abbiamo realizzato un incontro a Cuneo con tutti gli esponenti delle associazioni di categoria legate all’agricoltura ed a loro abbiamo esposto i nostri punti. Ci siamo dati anche un codice etico. A mio dire c’è bisogno di lavorare per poter diventare attrattivi agli occhi della politica, le associazioni di categoria però non sono concordi con questo modo di fare. Ad oggi, dopo due mesi, abbiamo avuto l’adesione da parte di circa 1500 aziende, nel giro di un mese miriamo a raggiungerne 4000 aziende.

 

Autore: La Redazione

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