La quarantena ha portato buone idee all’agronomo Emanuele Vita, agro-ingegnere siciliano e socio dell’Azienda Agricola GEVA – dei Fratelli Vita, a Favara, in provincia di Agrigento.
La voglia di evolvere e di mettersi alla prova, accompagnata dalla precisa conoscenza del territorio, e da anni di studi nel settore della viticoltura da tavola, hanno fatto sì che Emanuele Vita lo scorso anno, nel bel mezzo del lockdown, escogitasse delle nuove tecniche agronomiche per velocizzare e migliorare la sua produzione di uva da tavola.
“Il settore dell’uva da tavola, secondo me – esordisce Emanuele – ha bisogno di un forte rinnovamento, non solo varietale, ma anche di tecnico-agronomico. Indubbiamente la coltivazione dell’uva da tavola in Italia affonda le sue radici nella storia, questo però non significa che non possiamo cambiare e migliorare alcuni aspetti della sua conduzione. Con gli anni la scienza evolve e noi non possiamo permetterci di non cambiare le modalità di coltivazione solo perché: “Si è sempre fatto così“. A tal proposito un esempio tra tutti è la potatura di allevamento, che per me resta di fondamentale importanza per l’intera vita del vigneto. Nonostante ciò, spesso tale tecnica viene gestita in maniera, a mio avviso, discutibile; impostando la pianta in maniera non ideale sin dal primo anno. Tutto ciò genera problemi che si manifestano anche durante gli anni successivi”.
Viste le premesse, andiamo ora a comprendere cosa è avvenuto nell’azienda dei Fratelli Vita. Stiamo parlando di mezzo ettaro di vigneto ad uva da tavola della cv Thompson Seedless: “I nostri vigneti sorgono in una zona estremamente precoce – Spiega Vita – protetti dal rischio gelate. Normalmente cominciamo a raccogliere l’uva già nelle prime settimane di giugno o nelle ultime due settimane di maggio, quando le condizioni climatiche lo consentono. La struttura ad archetto è tipica nel nostro territorio per la produzione di uva da tavola. Da queste parti, però, vi sono anche impianti di agrumi e melograno, che prevedono l’uso della baulatura. Ecco, ho deciso di utilizzare entrambe le tecniche per apportare dei vantaggi alla mia uva da tavola“.
A che scopo tutto questo: “L’obiettivo era accentuare ancora di più la precocità senza fare ricorso a serre riscaldate. La baula, infatti, ci aiuta a riscaldare maggiormente il terreno nel quale troviamo le radici delle viti, essa diventa quasi una torba, essendo formata da terreno rimaneggiato. Inoltre – grazie al rialzo – si scongiurano le conseguenze negative dovute ai ristagni di acqua piovana. Dopo 12 mesi abbiamo notato che le piante ne hanno tratto giovamento e stanno rispondendo molto bene”.
Non solo baula, ma anche una potatura chirurgica: “La vera innovazione, secondo me, è stata l’adozione di una nuova tecnica di potatura, che io chiamo “chirurgica”: una micro potatura, in cui il taglio non supera mai i centimetri di diametro del germoglio. Difatti per questo nuovo impianto non abbiamo dato alle piante la possibilità di sviluppare l’astone principale. Abbiamo selezionato le 4 femminelle per i futuri capi a frutto, tagliando la pianta, anche se ancora molto piccola. Nonostante lo scetticismo di molti – ad oggi – i risultati ci danno ragione”.
“Successivamente abbiamo fatto sviluppare la pianta – Continua Emanuele -, ponendo al centro del filare un filo di condizionamento in modo da poter aprire bene la pianta con un bassissimo ricorso a manodopera. Un tutore in plastica, invece, è stato posizionato sopra la barbatella innestata. Tutore studiato per far passare una ben determinata parte della radiazione solare, il che ha consentito all’apice vegetativo primario della pianta di svilupparsi in altezza, per ricercare luce senza sviluppare femminelle secondarie. Tutto ciò ha permesso alla pianta di indirizzare le sue energie esclusivamente verso l’apice principale. In questo modo siamo riusciti ad aumentare la velocità di crescita nei primi mesi di sviluppo“.
Ora il risultato è che la produzione sulle piante è decisamente troppa. Il prossimo passaggio obbligato sarà quindi la selezionare dei grappoli: “Non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che effettivamente stiamo lavorando con una pianta di 12 mesi e il nostro obiettivo è preservarla”.
In foto: l’evoluzione del vigneto in 12 mesi.
L’obiettivo – raggiunto – era di avere – a 12 mesi dal trapianto – una pianta con 4 capi a frutto con almeno 60 grappoli a pianta, su cui andar a fare la selezione.
Ma non è finita qui. L’ingegno dell’agronomo siculo lo ha portato anche a pensare ad una produzione a basso impatto ambientale, volta a salvaguardare la risorsa idrica e l’ambiente sperimentando il cosiddetto ciclo chiuso: “Innanzitutto, per controllare meglio l’irrigazione, è stata predisposta un’ala gocciolante a terra, per evitare delle perdite di acqua. Ho poi deciso – per ora solo in un’area ben circoscritta del vigneto – di monitorare l’irrigazione per poter produrre a basso impatto ambientale e senza inquinare le falde acquifere. È stato quindi predisposto un conta-litri in ingresso (che controlla i volumi utilizzati per l’irrigazione) e prima di realizzare la baulatura è stato disposto, sul fondo del terreno di un solo filare, un foglio plastificato ricoperto da un tessuto specifico per il drenaggio“.
“Grazie alla pendenza della baula ed ai tubi di drenaggio- spiega Emanuele Vita – riesco a recuperare una parte dell’acqua di irrigazione non assorbita dalle piante. L’acqua in eccesso, per mezzo di un pendio, ruscella in un pozzetto appositamente predisposto. Qui misuriamo i volumi restituiti, la conducibilità elettrica e il ph. Praticamente monitoriamo l’acqua sia in ingresso che in uscita e confrontando i dati capiamo se la gestione dell’irrigazione è corretta. Le piante restano l’attore principale di tutto. L’obiettivo è sempre dare alla pianta quello che serve al momento giusto e nulla di più, per non indurre: stress sulla pianta, sprechi economici ed una maggiore impatto sull’ambiente“.
“Certo oggi ci sono i tensiometri, ma io ho scelto di procedere per una strada differente. Forse perché mi sono formato studiando le produzioni di uva da tavola condotte fuori suolo e sicuramente questo continua a riemergere nel mio lavoro attuale”.
In Foto: la struttura dell’impianto.
In une delle foto scattate dall’agro-ingegnere l’attenzione viene posta sui fili del vigneto: “Dalla foto si vede e si comprende come con un solo filo, lo stesso che incrocia i pali, abbiamo ancorato la y che regge i capi a frutto della pianta. Lì abbiamo ancorato anche l’archetto, che serve a tenere le coperture in plastica. Sempre a quello stesso filo abbiamo inoltre legato i “legacci” del telo plastico. Il mio obiettivo – in questo caso – non era esclusivamente una semplificazione economica, ma volevo lavorare per ottenere una struttura essenziale. Rispetto agli altri Stati, in Italia realizziamo impianti molto più costosi, ma non per questo più efficienti”.
In foto: la struttura del vigneto dell’azienda GEVA.
Grazie a tutti questi escamotage le barbatelle messe a dimora il 17 aprile 2020, ad appena un anno mostrano un’evoluzione incredibile. Tanto che il progetto ha attratto l’attenzione del Prof. Di Lorenzo dell’Università degli Studi di Palermo.
“Se tutto questo è stato possibile – conclude Emanuele Vita – lo devo: ai miei fratelli Giuseppe ed Andrea, ed alla loro costante collaborazione e confronto; al supporto tecnico dei colleghi dello studio agronomico Agriproject; infine colgo anche l’occasione per ringraziare il Prof. Di Lorenzo dell’Università degli Studi di Palermo per la curiosità e l’interesse manifestato nei nostri confronti. Il nostro esperimento dimostra in che modo sarebbe possibile accelerare la velocità di sviluppo di un investimento in uva da tavola. Che passerebbe così da 3 anni a 12 mesi“.
In foto: la famiglia GEVA al completo.
Autore: Teresa Manuzzi
Foto di: Emanuele Vita
©uvadatavola.com