La sostanza organica (S.O.) rappresenta una percentuale del sistema suolo. Sebbene questa percentuale sia piuttosto piccola, assolve a delle funzioni molto importanti, come quella di arricchire il tenore in carbonio dei suoli. Il terreno è, infatti, uno dei maggiori serbatoi di carbonio sul globo: le tecniche di gestione del suolo, che riducono l’ossidazione e la mineralizzazione della sostanza organica, contribuiscono infatti a ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera.
La sostanza organica presenta una componente biologica e una di sintesi.
Mentre la componente di sintesi si riferisce per lo più agli apporti di carbonio, quella biologica vivente e non vivente (residui rilasciati da vegetali, animali e microbi) è responsabile dei processi di digestione, decomposizione, marcescenza e umificazione, che differiscono tra loro per processo biochimico e per destino dei costituenti i substrati organici.
In condizioni aerobiche, ovvero in presenza di ossigeno, i microrganismi quali insetti, acari, nematodi, protozoi, funghi e batteri utilizzano i residui vegetali e le spoglie di altri organismi come substrato energetico. In questo modo avvengono, quindi, tutti quei processi di degradazione dei residui vegetali, mentre l’eccesso di carbonio della sostanza organica viene polimerizzato in humus. Quest’ultimo rappresenta, dunque, la forma stabile della sostanza organica e di conservazione nel tempo della stessa.
La sottile linea che (non) divide sostanza organica e humus
L’humus è l’insieme di materiali organici difficili da degradare, che si sono accumulati nel suolo a seguito delle decomposizioni e trasformazioni chimiche e biochimiche della S.O. Lo studio dell’humus è di grande interesse proprio per quello che è il suo ruolo nella nutrizione di piante e animali e per le funzioni che esplica nel suolo. Suoli sani con buoni livelli di sostanza organica stabilizzata, e quindi di humus, sono anche meglio predisposti a prevenire e ostacolare le malattie trasmesse dal suolo. La sostanza organica stabile, quindi, migliora la fertilità e la qualità del suolo su tre livelli.
Il primo livello è quello fisico. Sono funzioni fisiche dell’humus nel terreno:
- la migliore intercettazione dei raggi solari che agevola il riscaldamento del suolo. Grazie al basso calore specifico, l’humus consente un rapido riscaldamento o raffreddamento del terreno conferendo freschezza in estate e caldo in inverno;
- l’influenza sulla granulometria del terreno: l’humus combinandosi con i minerali argillosi migliora la porosità del terreno;
- l’ottima capacità di ritenzione idrica e la riduzione dell’evapotraspirazione, mantenendo così adeguati livelli di umidità nel suolo.
La presenza di humus nei suoli argillosi aiuta a prevenire l’asciuttezza del terreno, mentre nei suoli sabbiosi migliora la capacità di ritenzione idrica. Grazie al suo potere assorbente e capacità di cementare formando aggregati, l’humus è un agente molto importante nella prevenzione dei fenomeni erosivi.
Il secondo livello, cui assolve la S.O. stabilizzata, è quello chimico, ovvero:
- la capacità di esplicare il potere tampone e di incrementare la capacità di scambio, favorendo la disponibilità di elementi nutritivi per la pianta;
- la capacità di incrementare lo scambio cationico dei suoli;
- la mineralizzazione della sostanza organica che fornisce al suolo ioni ammonio, potassio, calcio e magnesio trattenuti dal complesso argillo-umico del suolo;
- l’azione tampone, infatti quando il pH è leggermente acido, neutro o alcalino, l’humus interviene mantenendo una reazione uniforme del suolo.
Terzo livello esplicato dall’humus sono le funzioni biologiche con riferimento a:
- la capacità di rendere il suolo vivibile per i microrganismi che vivono a spese dell’humus e che contribuiscono al contempo alla sua trasformazione. Il livello di attività dei microrganismi è infatti direttamente proporzionale alla quantità di humus presente nel suolo, essendo la sostanza organica fonte primaria di carbonio e quindi di energia e sostanze nutritive per gli organismi;
- il contributo alla nutrizione minerale delle piante attraverso la formazione di complessi fosfoumici, che mantengono il fosforo in uno stato assimilabile, e il rilascio di anidride carbonica da parte dell’humus. L’anidride carbonica è utile perché solubilizza gli elementi minerali del suolo, facilitandone l’assorbimento da parte delle piante.
L’humus, quindi, è il prodotto stabile della degradazione bio ossidativa di diversi residui organici. Quando si verifica l’umificazione, questa sottrae substrato allo sviluppo microbico e continua a produrre humus fino al raggiungimento di una condizione di equilibrio. Quando in equilibrio, le frazioni acquisite con l’apporto dei residui bilanciano quelle distrutte nel processo di umificazione e di mineralizzazione.
In natura, dunque, si realizzano diversi processi a carico della sostanza organica, non facilmente distinguibili tra loro. Macroscopicamente possiamo individuare il processo delle reazioni di tipo costruttivo, che culminano nella formazione di humus, e quello delle reazioni di tipo distruttivo, ovvero di mineralizzazione, che risulta nella disgregazione della sostanza organica e nel rilascio di elementi minerali. Come accennato, i due processi tendono all’equilibrio assicurando il mantenimento della componente organica a un livello variabile in funzione di clima, caratteristiche pedologiche ed eventuali interventi di gestione agronomica. Per esempio, i suoli non adibiti a coltivazioni e quindi lasciati indisturbati contengono un tenore più elevato di sostanza organica, perché si verificano meno asportazioni e una minore ossigenazione del terreno solitamente causata dalle lavorazioni.
Quanta sostanza organica è necessaria?
Affinché la S.O. assolva alle funzioni descritte e il suolo possa essere considerato fertile, si ritiene che il terreno debba contenere almeno il 2% di materia organica.
Per valutare il grado di umificazione del suolo, solitamente si considera il parametro C/N, ovvero il rapporto in percentuale tra carbonio organico e azoto totale. Il valore di questo parametro è ovviamente più alto nei terreni contenenti sostanza organica fresca, mentre si riduce man mano che la sostanza organica si stabilizza fermandosi su valori prossimi a 10. Nei terreni con valori di C/N <9 la maggiore frequenza delle reazioni di ossidazione porta a una riduzione di sostanza organica con il rilascio di azoto assimilabile. Si tratta, però, di un vantaggio limitato perché il tenore di S.O. si riduce. Nei terreni con valori di C/N >11, invece, l’umificazione è eccessiva e l’azoto presente nel terreno non è sufficiente. Anche in questo caso si parlerà, quindi, di squilibrio.
Come l’umificazione influenza la scelta della tipologia di sostanza organica da usare?
L’umificazione è la fase di stabilizzazione, successiva a quella iniziale di decomposizione della sostanza organica: una volta esaurito il substrato organico prontamente disponibile, il metabolismo microbico rallenta e prevalgono i processi di stabilizzazione e umificazione su quelli di decomposizione. Durante la prima fase di degradazione della sostanza organica, i microrganismi producono e diffondono nell’ambiente le tossine. Quando si decide di distribuire sui suoli agrari sostanza organica fresca, quindi, è bene sapere che durante il primo periodo di digestione, si ha la produzione e il rilascio di tossine. Tale tossicità ostacola la vitalità radicale e scompare solamente dopo, cioè quando inizia il processo di stabilizzazione con la formazione di humus. Data la rilevanza di questo fenomeno di tossicità, è importante saper gestire la sostanza organica e la fase di stabilizzazione. L’utilizzo di sostanza organica già stabilizzata, invece, consente di evitare la prima fase di decomposizione e di sfruttare tutti i vantaggi attribuiti alla sostanza organica.
Tuttavia, nei casi in cui sia compatibile con il programma colturale, l’apporto di sostanza organica fresca direttamente in campo è molto efficiente, perché consente di preservare una maggiore quantità di energia e di agevolare una ristrutturazione del suolo più rapida. Qualora si decida di utilizzare sostanza organica fresca, è necessario che la materia organica si trovi in un ambiente ossidativo, ovvero in presenza di ossigeno: più è approfondita nel terreno, più tempo impiega a completare il processo di umificazione risultando, quindi, incompatibile con le esigenze di coltivazione. Per esempio, nel caso in cui si desideri stabilizzare la sostanza organica direttamente nel suolo, si consiglia di effettuare delle fresature della S.O. insieme ai primi 5-8 cm di terreno nudo.
In questo modo la frazione organica viene esposta a una maggiore quantità di ossigeno e, abbinando degli apporti di acqua, si favorisce e si accelera il processo di formazione di terreno bruno. A questo punto il terreno può essere interrato alla profondità desiderata. I risultati ottenibili, quindi, sono ottimali proprio perché il terreno ingloba l’humus in formazione direttamente all’interno delle proprie componenti fisiche. Ciò permette una maggiore e migliore difesa da attacchi microbici e accelera la formazione di grumi.
La fonte di sostanza organica, che meglio sposa le esigenze colturali, è il letame maturo, stabilizzato.
Sebbene la sua composizione sia molto variabile in funzione del tipo di paglia usata, del tempo e delle condizioni di maturazione, è la fonte migliore da utilizzare in campo.
In tale contesto, poi, è bene distinguere il letame dal liquame. Spesso si sente parlare di liquame, ma ricordiamo che questo non incrementa il contenuto di sostanza organica del terreno. La sua funzione consiste nell’influire positivamente sulla porosità e nell’agevolare la formazione di macro e micropori, rendendo la struttura del suolo più stabile e ospitale per le radici.
Anche in vigneto la frazione organica svolge un ruolo fondamentale.
Applicazioni possono essere utili a fine inverno per avere quantitativi ottimali di sostanza organica nel suolo: tali applicazioni prevedono solitamente l’impiego di letame maturo. Ulteriori apporti di sostanza organica possono essere apportati anche durante il ciclo vegetativo per restituire alla pianta gli elementi persi con la raccolta l’anno precedente e con la potatura invernale.
Qualora non sia possibile utilizzare letame maturo, è possibile ricorrere all’utilizzo di ammendanti organici naturali, così come valida alternativa è la semina di piante erbacee leguminose, come il favino. Il sovescio di queste piante, al momento della loro fioritura, consente di apportare al vigneto una buona dotazione di sostanza organica in grado di migliorare la struttura del suolo e di apportare azoto disponibile e non facilmente lisciviabile. A fronte di quanto visto, è fondamentale e importantissimo preservare la sostanza organica. La sua carenza, infatti, come ricordato dalla Commissione Europea, è una delle cause più gravi e principali del degrado dei suoli nell’Europa meridionale.
Sfida per agricoltori e viticoltori, dunque, è di migliorare il contenuto di sostanza organica dei suoli e di adottare tutte quelle pratiche di gestione che consentono di conservare e mantenere stabile nel tempo tale contenuto.
Silvia Seripierri
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