Si è tenuta ieri, martedì 21 maggio 2019, la 21^ edizione del premio “Grappolo d’argento” a Rutigliano (Ba).
Il grappolo d’argento è stato consegnato a Giacomo Suglia, presidente dell’APEO (Associazione Produttori ed Esportatori ortofrutticoli di Puglia e Basilicata).
Per il lavoro svolto in questi anni durante i quali ha abituato i coltivatori a misurarsi sui mercati esteri ed a fare i conti, modellando le produzioni, con le esigenze del mercato estero.
Il pubblico
Giacomo Suglia ha ringraziato: “Condivido questo riconoscimento così prestigioso ed internazionale con tutti i soci dell’APEO. Oltre il 60% di tutta la commercializzazione dell’uva da tavola italiana è gestita da soci APEO, quindi significa che la nostra organizzazione è molto dinamica e viva. Ringrazio chi ripone in me la sua fiducia, e che ha deciso di affrontare le nuove sfide delle viticoltura da tavola. Ad esempio abbiamo realizzato un consorzio che finanzierà privatamente la ricerca di nuove varietà di uva da tavola. Si tratta del progetto Nuvaut (Nuove varietà di uva da tavola) condotto dall’ente pubblico CREA. Ringrazio quindi il CREA, che fa da ponte tra noi imprenditori e la macchina burocratica. Contiamo al più presto di poter coltivare nuove varietà di uva da tavola autoctone. Durante questa serata si è parlato spesso di comunicazione, pertanto tra 4 anni, in occasione dei 25 anni del premio grappolo d’argento, conto di presentare qui un film sulla storia degli agricoltori pugliesi e sugli operatori del comparto. A mio avviso, infatti, i meriti del successo dell’uva da tavola sono da dividere a metà tra produttori e commercianti”.
La premiazione di Giacomo Suglia ( a destra della foto)
La premiazione è stata un’occasione per comprendere lo stato dell’arte dal punto di vista della ricerca varietale, dell’export e della promozione del prodotto su altri mercati.
Luciano Nieto, capo della segreteria tecnica del MIPAAFT, interrogato dal giornalista Vincenzo Rutigliano, a proposito del ripristino dei vecchi e sull’apertura di nuovi mercati per l’uva da tavola italiana ha affermato: “Per trasportare il prodotto in Cina abbiamo bisogno di 50/60 giorni, quindi il prodotto che arriverà sul mercato cinese non sarà fresco. Prima di parlare di mercati dobbiamo parlare di infrastrutture come porti ed aeroporti. Il ministero dell’Agricoltura ha avviato comunque collaborazioni con quello della Salute per gestire anche gli aspetti fitosanitari, fondamentali per attivare protocolli per l’esportazione”.
Antonio Velasco, direttore del CREA – enologia e viticoltura, ha illustrato come proseguono le ricerche varietali all’interno del programma genetico Nuvaut: “Al momento ci sono 100 nuove varietà da testare. Si tratta di varietà ricercate in Puglia e quindi calibrate su questo territorio. I breeder stanno cercando di ottenere cultivar estremamente precoci o tardive (per aggredire nuove nicchie di mercato e per garantire la produzione nonostante i cambiamenti climatici), capaci di resistere ai più insidiosi patogeni fungini locali (oidio e peronospora). Non ci si è soffermati sull’idroresistenza, ma le nuove tecnologie che consentono di lavorare sulla mutagenesi della vite ci permettono di accorciare di molto i tempi. Tra 3 o 4 anni saremo pronti con le nuove varietà“.
I relatori
Stefano Sciancalepore della Megamark ha esordito: “La GDO è spesso raffigurata come il lupo cattivo da parte dei produttori, ma il nostro obiettivo è offrire un prodotto sano e sicuro ai consumatori. L’uva rappresenta un articolo molto importante, ma non presenta quasi mai una marca e l’acquisto finale avviene esclusivamente su base varietale o di colorazione dell’acino. Per conto nostro cerchiamo di educare i consumatori ad un prodotto di qualità, ed i nostri fornitori per l’uva sono italiani. Quotidianamente effettuiamo più di 200 controlli sulla qualità. Ci rivolgiamo per lo più alle OP, un fenomeno degli ultimi anni. Le OP ci permettono di acquistare un prodotto con delle caratteristiche tali che un produttore, da solo, non potrebbe offrirci. Gli acquisti programmati sono una necessità per noi, raramente lasciamo i nostri produttori “a metà strada”. Cosa che, non nego, accade ma solo se riscontriamo problemi di natura fitosanitaria sul prodotto”.
L’assessore all’agricoltura del Comune di Rutigliano Peppino Valenzano, il Giornalista Vincenzo Rutigliano e Giacomo Suglia
Sciancalepore conclude: “L’italia è il Paese delle DOP e delle IGP, ma i produttori devono comprendere che il prodotto IGP non può essere venduto alla rinfusa. Le garanzie dell’IGP devono giungere fin sulla tavola del consumatore. Spesso ci è capitato, soprattutto in Sicilia, di ricevere prodotti che, al netto dei controlli, sono risultati non autoctoni. Il confezionato trasmette più sicurezza sia a noi che al consumatore ed è simbolo di chiarezza e di professionalità per il produttore. L’esigenza di confezionare il prodotto ci riporta però innanzi ad un paradosso, perché in quanto GDO abbiamo anche il dovere, per legge, di ridurre gli imballaggi non riciclabili. In futuro lavoreremo per lo più con packaging in polpa di legno e PET. Quando il consumatore acquista un prodotto dalla GDO deve considerare che il valore di quel prodotto risiede anche nei controlli e nelle scelte, come ad esempio gli imballaggi ecosostenibili, che offriamo.
Fausto Gaetano Esposito, Segretario generale di Assocamerestero ha spiegato: “Le produzioni italiane, ovvero il Made in Italy, è formato da tante nicchie su masse che sono globali. Metà della nostra produzione di uva da mensa è destinata all’estero, o più precisamente all’Unione Europea. In realtà si tratta di 2 o 3 Paesi. Qualche anno fa il 40% della nostra produzione di uva partiva per la Germania, che oggi assorbe il 20% della produzione esportata. I nuovi Paesi di destinazione per il nostro prodotto uva sono Polonia, Svizzera e Paesi dell’Est“.
Il pubblico
“Quando produciamo -continua Esposito- è fondamentale conoscere chi sono i consumatori a cui proponiamo il nostro prodotto. Chi compra frutta in Europa sono principalmente due categorie di consumatori: i millennials e la cosiddetta generazione “z”. Si tratta di clienti giovani che vogliono sapere cosa c’è dietro al prodotto (ecosostenibilità/territorio/storia dell’azienda) e vogliono sempre più garanzie sulla salubrità del prodotto (tracciabilità), inoltre vogliono consumare il prodotto comodamente (senza semi e porzionato), quindi anche in questo caso abbiamo bisogno di prodotti che non vengano venduti alla rinfusa, ma etichettati e confezionati. Dobbiamo imparare a raccontare la storia del prodotto, e dobbiamo considerare che un approccio del genere contribuisce alla crescita anche turistica del territorio e dell’areale di produzione. L’Italia è leader di prodotti di Nicchia, il consumatore è disposto a pagare per il valore, ma quel valore deve essere trasmesso, raccontato, comunicato, narrato. Il mercato cinese certo, è un ottimo mercato, ma prima di far giungere i nostri prodotti c’è bisogno di trasferire ai consumatori cinesi i nostri valori, che sono appunto la salubrità, l’identificabilità, la comodità d’uso, la territorialità e l’ecosostenibilità. Si tratta di un lavoro che ha bisogno di qualche anno, solo successivamente, a mio avviso, sarà possibile aggredire il mercato asiatico“.
Infine Teresa Mulloy, di Puglia promozione, a proposito di export nei Paesi asiatici ha concluso, rivolgendosi alla platea formata per lo più da produttori ed esportatori: “La Cina non è pronta per i vostro prodotto e noi non siamo pronti per la Cina. A mio avviso però un ottimo sbocco per le uve nostrane sono i Paesi Mediorientali e quelli del Golfo. Lì il made in Italy ha un grande successo ed esiste un vero e proprio culto per i prodotti italiani”.
Autore: Teresa Manuzzi
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