Abbiamo intervistato Claudio Nelli, giovane produttore dell’ “Azienda – Bio Viticola Nelli” per la quale è anche tecnico per la gestione aziendale.
Per continuare a produrre uva da tavola è fondamentale riuscire ad offrire al mercato qualcosa di diverso e di valore rispetto a tutti i nostri competitors.
La Bio Viticola Nelli produce uva da tavola, in biologico dal 2006, per lo più in agro di Ginosa (Ta), e coltiva le seguenti varietà precoci: Timpson®, Crimson, Melody™️. “L’azienda è stata fondata da mio nonno, nel 1904. Poi la passione è stata trasmessa di padre in figlio”, spiega Claudio.
Nonostante questa radice molto forte nel passato, non avete avuto paura di innovare, anche a livello varietale.
Esatto, non abbiamo avuto paura. Dal momento in cui nel 2000 l’uva Italia ha cominciato a tentennare sul mercato, abbiamo imboccato la strada del rinnovo varietale. Erano gli anni in cui si cominciava a parlare di apirene come Crimson. Oggi produciamo quasi esclusivamente uve senza semi. Certo, i primi anni abbiamo dovuto affrontare vari problemi, anche dal punto di vista economico. I nuovi impianti avevano peculiarità completamente diverse da quelle a cui eravamo abituati. Il nostro punto di forza però è stato aver creato una cooperativa. Inizialmente ci siamo appoggiati a una cooperativa che operava solo in biologico, successivamente ne abbiamo creata una seconda al suo interno ci sono oggi diversi soci. Il passo successivo è stato quello di realizzare canali commerciali: attualmente abbiamo canali di smistamento tra Regno Unito e Germania.
In foto: varietà Flame
Quali sono state le ripercussioni positive legate alla creazione di una cooperativa?
Innanzitutto riusciamo ad abbattere dai tre ai quattro passaggi, così ricaviamo dal 30 al 40% in più sulle vendite. Nonostante le tante criticità del settore primario, posso dire che decidere di far parte di una cooperativa è stato un passo vantaggioso; tra l’altro ci ha permesso di conoscere meglio la domanda dei consumatori e questo ci ha dato l’input per la conversione in biologico. A mio avviso, per continuare a produrre uva da tavola rendendo ancora economicamente sostenibile la produzione, è fondamentale riuscire a comprendere determinati meccanismi.
Quest’anno che livello di impegno è stato necessario?
Quest’anno ottenere un’uva bio buona, considerando l’annata fredda, non è stato semplice, soprattutto a causa dell’oidio. Abbiamo dovuto gestire vari problemi su alcune precoci e anche sulle tardive. Ad oggi stiamo raccogliendo gli ultimi quantitativi di precoci – varietà Melody™ – per terminare le operazioni il 10 settembre.
Dunque è stato l’oidio il problema più rilevante. Ancora oggi (3 settembre n.d.r.) stiamo trattando come fosse giugno. Che io ricordi, quest’anno è stato in assoluto l’anno peggiore per il contrasto di questo fungo. Ovviamente agiamo con prodotti consentiti in agricoltura biologica, tornando a trattare ogni tre giorni. Una bella spesa, ma anche una complessa sfida. Abbiamo cominciato a temere per la presenza dell’oidio quando, nei primissimi giorni di giugno, durante la formazione degli acini si sono registrate temperature al di sotto della media. In quel periodo avevamo solo il sentore del pericolo. Attorno al 20 giugno l’uva era ormai ben formata e sulle corone esterne dell’impianto, sui grappoli che non è possibile raggiungere con i trattamenti, le bacche erano ricoperte dal fungo. Da quel momento in poi c’è stato un vero e proprio “corpo a corpo”. In alcuni quadri l’oidio ha reso invendibile buona parte del prodotto. In vigneti con varietà particolarmente suscettibili abbiamo perso forse il 60% dell’uva. L’unico problema che abbiamo dovuto gestire è stato questo e i danni che abbiamo registrato sono stati maggiori sulle varietà tardive. Per le precoci abbiamo raccolto un 10% in meno di prodotto. Fortunatamente la resa per queste varietà è stata soddisfacente. Quindi, tutto sommato, possiamo dire che è stata un’annata discreta per le uve precoci.
In foto: varietà Crimson
Nel tarantino avete avuto problemi nel corso del germogliamento per le basse temperature?
Abbiamo goduto di una primavera molto buona che ci ha permesso di lavorare bene nel periodo invernale. I primi germogliamenti sono partiti regolarmente. Inoltre, lavorando in bio, abbiamo precocemente coperto gli impianti, proteggendoli così da eventuali abbassamenti termici.
I volumi sono stati quelli che vi aspettavate?
I volumi sono stati abbastanza buoni, nella media e in alcuni casi superiori. Ad esempio, su Allison® e su Timpson®, l’anno scorso ci aggiravamo intorno ai 250 q/ha, quest’anno siamo riusciti a sfiorare i 330 q/ha.
Come è andata la commercializzazione?
La partenza è stata abbastanza positiva, i prezzi sono stati piuttosto validi: attorno a 1,30 euro, come prezzo di partenza sulle precoci, per poi spostarsi anche intorno a 1,60 – 1,80 euro. Con un ricavo finito di 1,40 – 1,50 euro. Ovviamente parlo di uve per il mercato biologico.
Progetti per il futuro?
Nei prossimi anni penso di cominciare a convertire da biologico a biodinamico alcuni piccoli appezzamenti; credo che ogni decennio le aziende abbiano bisogno di rinnovarsi. Se pensiamo di competere sul convenzionale con nazioni che producono a costi di gran lunga inferiori rispetto ai nostri la guerra è senz’altro persa. Per riuscire a rimanere competitivi dobbiamo proporre qualcosa di diverso. Se il mio prodotto è biologico o biodinamico, posso chiedere al mercato qualcosa di più, perché la mia uva è “diversa” da quella importata. Il prodotto convenzionale, invece, si differenzia solo per i costi di produzione più alti che devono sostenere i viticoltori italiani. La qualità delle varietà Italia o Vittoria è eccellente, sono convinto che in nessuna altra zona del mondo riescano a fare meglio di noi. Il “Made in Italy” è vivo, ma dobbiamo capire che bisogna ingranare una marcia in più per evitare di proporre la nostra merce in un mercato saturo.
Autore: Teresa Manuzzi
©uvadatavola.com